Nell’esatto momento in cui tutti abbiamo preso posto sui pullman che ci avrebbero portato a Roma, in ognuno di noi è scattato qualcosa: la realizzazione che il percorso affrontato durante i momenti di incontro con gli altri compagni di viaggio stava finalmente prendendo forma e che ne saremmo tornati diversi, più arricchiti, forse addirittura cambiati.
Il filo conduttore di queste tre intense giornate è stato la pazienza. Iniziata fin dal viaggio in pullman e che è proseguita, poi, in un susseguirsi di “code”: la coda per ritirare il kit del pellegrino, per avviarsi al luogo in cui avremmo soggiornato, per procedere verso la Basilica dei Santi Pietro e Paolo per la preghiera della Via Lucis, per rispettare i tempi e le esigenze dei diversi gruppi, per trovare un posto in cui mangiare o, semplicemente, per andare al bagno.
È stata un’attesa a cui siamo stati chiamati in quanto caratteristica per eccellenza del pellegrino: lo spirito di adattamento. Proprio come ha sottolineato don Giovanni, “Il Risorto ci scomoda”, e non poteva scegliere forse frase più adatta per descrivere la prima delle sfide davanti alle quali ci siamo trovati, sia come partecipanti sia come educatori: la sistemazione nelle tende fornite dalla Protezione Civile.
La situazione che ci si è presentata davanti è stata del tutto inedita per la maggior parte di noi. E per la prima volta, stretti in quelle tende, ci siamo posti la domanda: “Ne varrà la pena?”.
La risposta non ha bisogno di troppi giri di parole: assolutamente sì.
Sì, perché, proprio da questa prima “scomodità”, ci siamo messi tutti in gioco affinché quella pazienza che inizialmente avevamo interpretato come noiosa e passiva, diventasse la chiave di lettura per vivere al meglio ogni piccolo momento. Una pazienza carica di speranza, quindi, di entusiasmo e di riflessione, per affrontare un passo alla volta tutte le tappe del nostro Giubileo, per consolidare i rapporti e le relazioni fra i partecipanti e imparare ad avere cura delle necessità reciproche.
Insomma, a forza di rimanere “compatti per non perderci”, alla fine è successo sul serio, e non solo a livello fisico: ci siamo sentiti spiritualmente vicini attraverso un legame che ci ha accompagnati durante tutto il cammino.
Questo Giubileo era rivolto agli adolescenti e sono stati proprio loro, alla fine, a guidare concretamente le azioni di noi educatori e a fornirci nuove lenti per osservare e vivere questa esperienza con un cuore attento, aperto e che sapesse affrontare con entusiasmo ogni piccola difficoltà trasformandola in un’occasione di crescita e di arricchimento: è stato un esercizio di fidarsi e affidarsi.
Capitava spesso di incrociare il nostro passo con altri gruppi e lo sguardo inevitabilmente cadeva sulle magliette che tutti indossavamo e sul logo che riportava la scritta “Peregrinantes in Spem”, “Pellegrini di speranza”.
Che cos’è stata e che cos’è allora questa speranza?
È avere avuto il coraggio di uscire dalle nostre piccole realtà per sperimentare qualcosa di più grande e che in modo diretto o indiretto ci ha messi in contatto con persone da tutto il mondo, facendoci riconoscere come comunità cristiana universale e riunita per rispondere alla chiamata del Signore. È aver potuto mettere in atto una forma nuova di servizio mettendoci in ascolto continuo, consapevoli che non siamo soli, anzi, tutti insieme possiamo essere la luce che illumina la strada verso il futuro, come ci ha ricordato spesso Papa Francesco.
Sara Gandolfo e Silvia Boscolo Cegion
