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L’esperienza del Giubileo dei Giovani è stata una settimana ricca. Ricca di parole, di meraviglia, di fede, di vita. E ogni giorno ha donato l’opportunità di compiere una tappa del cammino, lasciando che una parola in particolare si aprisse come un seme pronto a far nascere una nuova vita.

La parola del primo giorno, lunedì 28 luglio, il giorno della partenza per Roma, è stata ‘scoperta‘.
La scoperta di una lunga strada da percorrere, di un luogo da abitare, di un’avventura da iniziare. Ma, molto di più, la scoperta degli sguardi e delle voci dei compagni di viaggio. Di chi avrebbe condiviso lo stesso cammino…
Una scoperta, però, richiede attenzione, disponibilità ad ascoltare, a osservare. Richiede la capacità di mettersi in discussione, di non bastarsi. E, allo stesso tempo, la capacità di riconoscere come dentro ciascuno di noi si nasconda un sogno straordinario, che, primo fra tutti, conosce Chi quella vita l’ha desiderata.
Quale granello Dio avrà piantato nel mio cuore alla fine di questa settimana?‘. Una domanda, questa, che è nata nel primo vero momento condiviso da parte del gruppo: la Messa di avvio dell’esperienza, celebrata presso la Comunità Missionaria di Villaregia di Roma.
Si era compiuto un primo passo. Ora non restava altro che continuare a camminare…

La parola del secondo giorno, dedicato all’attraversamento della Porta Santa della Basilica di San Pietro e alla S. Messa di benvenuto da parte della Chiesa di Roma, è stata ‘grandezza‘.
La grandezza di Roma, “una città da contemplare” e dalle proporzioni molto diverse da quelle a cui noi – pellegrini di Chioggia – siamo abituati. La grandezza di un abbraccio, proprio quello della meravigliosa Basilica di San Pietro, che da secoli è simbolo di una Chiesa dalle braccia protese verso chi, pellegrino, si mette in cammino. Ed è soprattutto la grandezza del perdono di Dio. Un perdono che in nessun modo deve essere meritato, un perdono che scalda, che avvolge, che si spalanca per essere donato.
La grandezza di un tempo per te e per Dio. Per noi e Dio. Un tempo di speranza: “La fede è un incontro. La fede è una scelta di libertà“.

Ancora, la parola del terzo giorno, con la partecipazione a due dei momenti della proposta “12 Parole per dire Speranza”, è stata ‘condivisione‘.
Perché la condivisione crea una connessione, costruisce una relazione. E, prima ancora, ogni condivisione parte dalla presa di coscienza che, oltre all’io, oltre alle proprie esigenze, oltre a quelle che vengono percepite come piccole o grandi necessità, si venga chiamati alla scoperta autentica di sé stessi ma anche di un altro (o, ancor di più, dell’Altro).
La condivisione, in fin dei conti, è una breccia che si apre alla fiducia, alla fede, e alla consapevolezza delle proprie fragilità. Ed è proprio lì, in quella “riva”, che Gesù aspetta, pronto a metterci alla prova, pronto a moltiplicare – “se siamo disposti a mettere i piedi fuori dalla barca” – la nostra piccolezza in uno splendido miracolo.

La parola del quarto giorno, con la straordinaria proposta di confessio fidei “Tu sei Pietro” rivolta ai giovani italiani, è stata ‘Chiesa’.
Una Chiesa semplice, imperfetta, profondamente umana. Ma una Chiesa che è amata. Di un amore donato che vince tutto, anche le guerre più atroci e le ingiustizie più amare. Perché Chiesa è essere in comunione, è essere comunità. Una comunità che, grande o piccola che sia, può essere sé stessa solamente quando pensa per l’altra nell’Altro.
Ognuno di noi, infatti, proprio come l’apostolo Pietro, è una pietra, una pietra che è viva. E, come ogni pietra, non possiamo arrenderci all’idea di rimanere soli… Solamente una accanto all’altra, una unita all’altra, è possibile costruire qualcosa di grande, che può vincere tutto, anche la morte.

Infine, un’ultima parola prima dei momenti conclusivi di Tor Vergata. La parola del quinto giorno: ‘servizio‘.
Perché “siamo [veramente] noi stessi quando ci pensiamo per gli altri“. Un servizio come quello offerto dai tantissimi volontari e operatori per il Giubileo, anche nella lunga giornata penitenziale presso il Circo Massimo.
Come può andare qui se non meravigliosamente bene quando un fiume del giovane popolo di Dio decide di vivere la confessione?
Queste le parole di una di loro, lì per indirizzare, supportare e consigliare i giovani pellegrini arrivati a Roma. E come non essere d’accordo con lei? Come non meravigliarsi di fronte a una scelta, più o meno accompagnata e sostenuta, di chiedere perdono, di riconoscere le proprie mancanze, le proprie fragilità, ciò che più stride dentro di sé nella quotidianità?
Un fiume calmo, eppure fremente. La pace che solo la certezza di essere amati, nonostante tutto, per chi si è veramente, per tutto ciò che fa parte di sé, può regalare…
Un cammino di servizio che è stato anche quello di Agnese Sassetto, giovane dell’Oratorio Salesiano di Chioggia. Un’esperienza, la sua, iniziata con discrezione e che l’ha chiamata – unica italiana in un gruppo di dieci giovani che condividono l’alloggio – a dedicarsi completamente a chi diventava improvvisamente prossimo per lei. Prima con la consegna dei pasti e dell’acqua, poi nell’aiutare e indirizzare i pellegrini che attendevano di poter attraversare la Porta Santa della Basilica di San Paolo Fuori le Mura.
In “un mondo” – riprendendo ancora una volta le parole del Cardinale Matteo Zuppi ai giovani in Piazza San Pietro – “che accetta di nuovo come normale pensarsi l’uno contro l’altro o l’uno senza l’altro“, mettersi a servizio dell’altro, riconoscendo in lei o in lui il volto di Dio, diventa quindi un gesto del tutto rivoluzionario.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Collage Diario di Bordo per Pellegrini di Speranza

L’infinita misericordia di Dio: è Cristo che apre il suo cuore e dona tutto il suo amore“, con queste parole il Vescovo Giampaolo ci ha preparati a varcare la Porta Santa. Il Vescovo, infatti, ha voluto essere presente all’evento, condividendo l’esperienza e partecipando attivamente fin dai tre incontri di preparazione proposti dalla Pastorale Giovanile.
Toccare quella porta e attraversarla è come passare attraverso il cuore di Gesù: la sua infinita misericordia“, ci ha annunciato il Vescovo, e così ci ha chiesto di tenere il cuore aperto e sempre disponibile alla sua chiamata all’amore.

Sperare contro ogni speranza“. Lo scriveva san Paolo nella Lettera ai Romani 4, 18; sembrava conoscere già la cultura attuale in cui veniva proposto il Giubileo degli Adolescenti.
Ha sorpreso la folla di ragazzi che hanno aderito, più di novemila solo dal Triveneto. È stato un segno palpitante per le nostre Chiese del Nord-Est: giovani entusiasti e desiderosi di essere protagonisti della loro fede in Gesù.
Nel suo complesso, l’evento è stato un momento di grande speranza, intessuto di amicizia, bellezza, fatica, gioia, in un clima di consapevolezza del dono di una comunità credente che abbraccia il mondo. È stato un cammino interiore, scandito da tappe che ci hanno coinvolto prima e durante il Giubileo, e che continueranno a interpellarci nel prossimo futuro, come per l’appuntamento programmato per venerdì 23 maggio. Un percorso segnato da momenti che hanno aperto il cuore alla fede, orientato il desiderio di un’amicizia più grande, alimentato la comunione tra i giovanissimi della Diocesi.

I ragazzi hanno partecipato, al venerdì, alla preghiera della Via Lucis; al sabato, hanno vissuto il passaggio della Porta Santa di San Paolo Fuori le Mura; la domenica, la Messa in Piazza San Pietro.
Un’avventura che ha visto adolescenti e giovani educatori farsi compagni di viaggio, pellegrini di speranza. Ci è mancata la presenza di Papa Francesco e la canonizzazione del Beato Carlo Acutis, in riferimento alla quale il Vescovo aveva donato un libro ai partecipanti per approfondirne la figura.
Ci rimane, tuttavia, il dono di amicizie nate e consolidate, di una fatica condivisa, di una comunità più grande: quella di una Chiesa fatta di ragazzi che ha riempito Piazza San Pietro e Via della Conciliazione ben oltre le aspettative! Ora spetta a noi continuare a lavorare perché la speranza continui ad ardere nei nostri cuori, come Papa Francesco ci ha indicato.

 

Don Giovanni Vianello
Delegato diocesano per la Pastorale Giovanile e Vocazionale

Immagine Articolo 'Ardono di speranza i nostri cuori'

Sì, la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza: a partire da questo avvenimento, sperare non è più un’illusione. No. Grazie a Cristo crocifisso e risorto, la speranza non delude! Spes non confundit! (cfr Rm 5,5). E non è una speranza evasiva, ma impegnativa; non è alienante, ma responsabilizzante.

La fermezza di parole scritte nel momento della massima fragilità. Parole, le ultime di Papa Francesco prima del ritorno alla casa del Padre, che richiamano la speranza. Spes non confundit. Una speranza che non delude e che mai potrebbe farlo.
Perché la speranza, la vera speranza, è fortemente ancorata alla realtà, non è “evasiva”, non è vaga o sfuggente. La speranza è elemento di vita. E, come ogni vita, nella propria straordinarietà, non può che responsabilizzare, affinché ciascuno possa essere chiamato a prendersene cura, a coltivarla, ad accoglierla, ad amarla, a far sì che fiorisca e dia frutto.

Continua, poi, il messaggio di Papa Francesco: “Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita“.
È, insomma, una “vita sacrificata”. Un sacrificio, tuttavia, che non si tinge delle sfumature opache di un privarsi fine a sé stesso, di un trascurare, di una rinuncia che trascina con sé le proprie aspirazioni, i propri desideri. Ma un “rendere sacro”, il supremo atto di affidare la propria vita all’Amore che genera ogni altro amore. La visione di una vita che si espande, si allarga, non limitandosi a una pigra sopravvivenza, ad avvitarsi senza sosta su sé stessa. Una vita di cui è stato testimone, in tutta la sua straripante umanità, in ogni riflesso della sua risoluta tenerezza, Papa Francesco.

Il suo messaggio pasquale, allora, accompagnato dalla benedizione “Urbi et Orbi”, sembra richiamare l’eco del saluto di un padre alla propria famiglia, quando è prossimo alla partenza, chiamato ad andare lontano senza la certezza di poter tornare. Forse soprattutto per chi era desideroso di incontrarlo, per chi era già pronto a mettersi in cammino, vestendo gli abiti del pellegrino, nella speranza (anche) di poter condividere quell’esperienza con lui.
E davvero, alla luce di questo, l’esperienza giubilare non potrà che aprirsi, trasformarsi, ancorarsi maggiormente alla vita. La morte non potrà prevalere in alcun modo sulla speranza. Perché “nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte. Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)!“.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

PGV Immagine Articolo 'Lui solo può far nuove tutte le cose'

Il “viaggio dell’eroe” è un modello di struttura narrativa particolarmente diffuso. Un modello di avventura in tre atti, che racconta un viaggio straordinario dell’eroe-protagonista. Ma più che di un viaggio esteriore, disseminato di ostacoli, pericoli, creature misteriose, avversari, si tratta del racconto di un viaggio interiore, che scandisce le tappe di un cambiamento, di una radicale evoluzione dell’eroe fino a portarlo a una dimensione e a una consapevolezza del tutto nuove.
E questo modello sembra perfetto per raccontare anche l’esperienza del pellegrinaggio diocesano che si è svolto tra martedì 1 e mercoledì 9 agosto per partecipare, a Lisbona, alla trentasettesima Giornata Mondiale della Gioventù. Un viaggio-pellegrinaggio – anche questo – in tre atti, che sicuramente ha costretto i partecipanti a mettersi alla prova soprattutto dal punto di vista fisico, ma che si è rivelato, prima di ogni altra cosa, un cammino di evoluzione della propria fede, un percorso di scoperta (o di ri-scoperta) della propria relazione con Dio.

Il primo atto si è svolto a Tarragona. Certo, non si tratta, per definizione, del “mondo ordinario” dei protagonisti. Tuttavia, era quasi inevitabile che i partecipanti tenessero stretto a sé quel proprio “mondo”, il proprio gruppo di riferimento, le persone conosciute, le proprie sicurezze, i propri amici, fino a quel deciso “richiamo all’avventura” dato dal vescovo Giampaolo.
Che cosa cercate? Cosa vuoi che io faccia per te?
Da un lato, quindi, il racconto del Vangelo di Giovanni sull’incontro di Gesù con i primi discepoli. L’invito ad andare, a vedere, a fermarsi, riflettendo su che cosa si cerchi oggi per la propria vita. Dall’altro, il racconto meraviglioso dell’incontro tra Gesù e Bartimeo. E una domanda che sorprende, una domanda che ribalta il pensiero comune, non indugiando su ciò che ciascuno può o deve fare per Dio ma sull’assunzione di una dimensione di responsabilità per la propria vita: “L’acquisizione della vista, per Bartimeo, equivale a un cambiamento radicale di prospettiva, dovendo smettere di essere del tutto dipendente da altri“.

Il secondo atto corrisponde alla parte fondamentale della storia. Un rincorrersi di prove, di alleati, di sorprese, di “nemici”, il tutto orientato verso la “prova centrale”, quella prova che, una volta superata, conduce l’eroe a una vera trasformazione.
E Lisbona non può che essere stata tutto questo. Un meraviglioso poliedro di colori, di volti, di voci, di silenzi. Quel “mondo speciale” che, fin dall’arrivo alla vicina São João dos Montes, ha continuato a sussurrare una parola: “Alzati”. Il ritrovo di una Chiesa viva, esultante, straordinariamente varia, ma tutta orientata all’incontro. All’incontro con papa Francesco, all’incontro con il Signore. Un incontro che, in occasione dei momenti centrali della Via Crucis, della veglia di preghiera e della celebrazione eucaristica, ha saputo mettere duramente alla prova. Ma che ha saputo anche rassicurare, consolare, commuovere, aiutare, sostenere, sorreggere.
Camminare” – ha invitato papa Francesco – “e, se si cade, rialzarsi; camminare con una meta; allenarsi tutti i giorni nella vita. Nella vita, nulla è gratis, tutto si paga. Solo una cosa è gratis: l’amore di Gesù! Quindi, con questo gratis che abbiamo – l’amore di Gesù – e con la voglia di camminare, camminiamo nella speranza, guardiamo alle nostre radici e andiamo avanti, senza paura. Non abbiate paura.

Infine, il terzo atto. Il ritorno. Se pur non proprio un ritorno a casa, ma una nuova tappa: Barcellona. Un tempo che ha trovato il suo punto più alto nella condivisione di ciò che si è vissuto, nel rendere disponibile agli altri una piccola parte di quella trasformazione che ha segnato l’intero viaggio. Un viaggio, però, che continua – che deve continuare! – quasi come l’imperfetta perfezione di una basilica che sembra non poter mai trovare un compimento.
Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi…
Le esperienze” – dopotutto – “per poter diventare significative, devono essere rielaborate“. E non si può non confidare davvero che questo viaggio-pellegrinaggio venga vissuto e rivissuto ancora, diffondendo con coraggio il messaggio che “occorre correre il rischio di amare, [perché] Gesù ci accompagna sempre”.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni