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L’esperienza del campo vocazionale a Limone sul Garda è stata intensa e umanamente coinvolgente. Sono stati giorni di scoperta della vocazione, vissuta non semplicemente come una scelta da compiere, ma come il riconoscimento di una chiamata che nasce da un incontro: Lui che irrompe nella vita e la cambia.

Il punto di partenza è stato l’esempio di San Daniele Comboni, testimone di una vita totalmente spesa per Cristo e per l’uomo. In lui, le ragazze e i ragazzi hanno potuto toccare con mano cosa significhi seguire una presenza che rende l’esistenza compiuta. Ogni gesto, ogni passo della sua vita missionaria è apparso come risposta a un’appartenenza più grande, a un disegno che prende forma nella realtà concreta.
Immersi nella bellezza della natura – che si è rivelata segno tangibile del Mistero – sono stati provocati a interrogarsi sul significato della propria vita come dono ricevuto e hanno intuito che Dio ha un disegno per ciascuno, che si manifesta nella realtà, nei volti e nelle circostanze, se vissute con uno sguardo attento e aperto.

Le testimonianze ascoltate durante il campo sono diventate per tutti un’occasione di verifica personale: la vita, in tutte le sue sfumature, si è svelata come luogo dove Dio si fa presente, e dove il cuore dell’uomo si risveglia alla gratitudine. Molti tra i giovanissimi partecipanti, infatti, hanno parlato di una pace nuova, di una riconciliazione profonda con la realtà, di un’unità ritrovata dentro la frammentarietà quotidiana. Tutto – la natura, l’amicizia, la condivisione – è stato percepito come segno di una Presenza che dà voce al desiderio più autentico del cuore.

Uno degli aspetti più significativi dell’esperienza è stato il rapporto con gli altri, il senso di comunione che si è generato tra le persone presenti: la vocazione non è un percorso individuale, ma si scopre in chi vive con serietà la stessa domanda e lo stesso cammino. Questa unità vissuta ha aperto uno sguardo nuovo sul futuro: più fiducioso, più libero, più pieno di speranza.

Alla fine del campo, le ragazze e i ragazzi sono tornati a casa cambiati: più consapevoli di sé, più desiderosi di vivere con autenticità ogni istante, più certi che ogni frammento di vita quotidiana può essere segno e occasione di un incontro con Cristo. La vocazione, così, non è un peso o un compito da risolvere, ma una strada di libertà, una risposta alla chiamata di Dio che continua a provocare il cuore dell’uomo.

 

Irene Veronese
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Campo Vocazionale 20251

“Se avessi mille vite, le donerei tutte”.
Questo il titolo tratto da una frase di San Daniele Comboni per il Campo Vocazionale 2025, che si è svolto a Limone sul Garda (BS) dal 20 al 23 agosto e che ha visto coinvolti ventidue tra ragazze e ragazzi della scuola secondaria di primo e di secondo grado.

Il tema centrale della proposta è stato quello della missione e del dono di sé, un filo conduttore che ha guidato i partecipanti per quattro giorni.
Accompagnati da don Giovanni Vianello (delegato diocesano per la Pastorale Giovanile e Vocazionale), don Matteo Scarpa, don Simone Doria e da sei educatori del Centro Diocesano Vocazioni, il gruppo ha iniziato l’esperienza a Verona, facendo tappa al Museo Africano, dove tutti si sono immersi nel mondo, il continente africano, a cui San Daniele ha dedicato la propria vita.
Ad accoglierli, per primo, Roberto Valussi, Digital Content Creator per la rivista missionaria ‘Nigrizia’, che ha affrontato il tema dell’informazione legato all’Africa per abbattere stereotipi e false notizie; successivamente, tutti i partecipanti, a coppie, hanno avuto l’opportunità di mettersi alla prova con un gioco della tradizione africana, noto con moltissimi nomi, tra i quali ‘wari’ e ‘awélé’.
Nella seconda parte della giornata, una volta arrivati a Limone sul Garda, presso la struttura gestita dai missionari comboniani, si è tenuta la Messa di apertura dell’esperienza, nel corso della quale don Giovanni ha incoraggiato tutti a coltivare uno “sguardo attento”, capace di scorgere la bellezza nei giorni di fraternità, invitando a trovare momenti di silenzio interiore, in sintonia con la tranquillità del luogo.

Il secondo giorno, il gruppo ha avuto modo di conoscere più approfonditamente la figura di San Daniele Comboni, guidati da padre Donato, missionario comboniano che ha vissuto per trent’anni in Togo. In tarda mattinata, poi, si è unito anche il vescovo Giampaolo, accompagnato da due signore che, nelle occasioni dei campi precedenti, si erano dedicate al servizio della cucina.
Dopo aver celebrato la Messa insieme, tutto il gruppo ha ascoltato le testimonianze di suor Pompea e di fratello Antonio, entrambi missionari comboniani. Nonostante le difficoltà affrontate rispettivamente in America Latina e in Africa (in particolare, in Congo), i due hanno trasmesso la gioia profonda della loro vocazione, sottolineando come la presenza di Dio non li abbia mai abbandonati. E, a seguito delle testimonianze e della condivisione insieme, il vescovo ha lasciato al gruppo tre spunti di riflessione e di lavoro: il primo, coltivare l’originalità di ciascuno (originalità come altro nome della vocazione); il secondo, scoprire la bellezza della presenza di Dio, una presenza sempre discreta; il terzo, scoprire la missione anche tra i giovani, riassumendo con la frase: “Salvare i giovani con i giovani“.

Il terzo giorno si è aperto con una proposta di celebrazione penitenziale, un momento di riflessione per poter ringraziare e chiedere perdono. A seguire, c’è stata la visita alla chiesa parrocchiale di San Benedetto, dove si trovano il fonte battesimale di San Daniele Comboni e alcune reliquie del santo, e, nel pomeriggio, la visita al Castello Scaligero di Malcesine.

L’esperienza si è conclusa, il quarto giorno, con un tempo di condivisione e la Messa. I partecipanti, nel corso di entrambi i momenti, hanno espresso la loro gratitudine per i giorni trascorsi insieme, per le testimonianze ricevute e per aver riscoperto l’importanza di fermarsi per apprezzare ciò che si ha, riscoprendo ancora una volta come la stessa vita non possa che essere riconosciuta come un dono.

Il campo vocazionale è stato un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza, un’esperienza che continua ad accompagnare i giovani nella scoperta della loro vocazione alla vita e della presenza di Cristo.

 

Giulia Alfiero
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Sabato 28 giugno 2025, i Gruppi Vocazionali “Il Mandorlo” e “Il Sicomoro” hanno vissuto una giornata intensa e piena di significato, insieme ai loro genitori, nella città di Modena. Un’uscita che si è rivelata molto più di una semplice gita: è stata un’esperienza di compagnia vera, un segno concreto di come la fede possa diventare forma della vita.

L’incontro tra ragazzi, genitori e accompagnatori ha creato una familiarità sorprendente: in un clima di semplicità e gioia, si è respirato il gusto dello stare insieme, il desiderio di condividere il cammino e la domanda profonda che ciascuno porta nel cuore. Attraverso le bellezze del centro storico di Modena, la visita al Duomo e i momenti di sosta, si è fatta strada in noi una percezione più chiara: la fede non è un discorso da capire, ma un avvenimento da riconoscere nella realtà.

Ciò che abbiamo vissuto è stato un’occasione per educare lo sguardo: guardare tutto – la città, la storia, gli incontri, persino il pranzo condiviso – come segno, come richiamo alla presenza del Mistero che si fa compagno nel cammino. In questo senso, la giornata è stata un’esperienza di memoria: memoria di ciò che ci ha presi, che ci ha messi insieme, e che rende ogni istante un’opportunità per crescere nella nostra vocazione.
I momenti di dialogo con i genitori e i ragazzi, la bellezza delle relazioni, nate o approfondite, e la possibilità di raccontarsi liberamente, hanno fatto emergere il bisogno comune di una compagnia stabile, che sostenga il cammino di ognuno nella scoperta del disegno di Dio sulla propria vita.

Abbiamo toccato con mano che seguire Cristo, oggi, significa appartenere a una compagnia umana in cui la fede diventa esperienza. E, tornando a casa, ci siamo portati via una certezza semplice ma fondamentale: ciò che ci è accaduto non è solo passato ma si fa sempre nuovo e inizia adesso.

Irene Veronese
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'Uniti nella Fede'

È stata un’occasione per vivere la fede tramite un cammino, con lo stile semplice e concreto che ci appartiene. Il tema “Pellegrini di Speranza” ci ha spinto a guardare avanti con fiducia, anche nelle difficoltà. Partecipare al Giubileo vuol dire anche servire, accogliere, condividere e insieme ad altri giovani, è stato un tempo per crescere, riflettere e sentirci parte di una chiesa viva.
Marco, Francesco P. e Leonardo (Scout Chioggia 2)

 

Come scout, quello che ho vissuto in quei giorni è stato qualcosa di unico e toccante, data la fede condivisa di molti ragazzi riuniti nello stesso pellegrinaggio. L’energia di migliaia di ragazzi uniti dalla stessa fede, i sorrisi sinceri, e soprattutto la presenza viva di Dio in mezzo a noi mi hanno profondamente toccata. Ho percepito una pace nel cuore che mi ha fatto capire quanto sia bello affidarsi a Dio, anche nella confusione tipica della nostra età.
Dopo questo Giubileo, sento che la mia fede è cresciuta: non è solo una cosa che “devo fare”, ma una scelta che nasce dal cuore. Questo Giubileo mi ha regalato più fiducia, più speranza, e una relazione più profonda con Dio…
Sofia (Scout Chioggia 2)

 

Ho ripensato al nostro breve ma intenso viaggio che ho vissuto come un viaggio in famiglia. Non solo perché eravamo insieme, ma perché ci siamo sentiti davvero legati, uniti da qualcosa di più grande. Non era solo il luogo, ma le persone, le emozioni, i piccoli gesti. Ogni sguardo, ogni risata, ogni abbraccio sincero ha costruito qualcosa che non si dimentica…
Quelle che all’inizio potevano sembrare disavventure si sono rivelate occasioni per stringerci ancora di più, per aiutarci a vicenda e per scoprire la forza nella nostra unione.
Voglio ringraziare con il cuore gli animatori, Sara, Silvia e Lorenzo. Non sono stati semplici accompagnatori, ma guide, compagni di viaggio, esempi…
Mi porto a casa tanto: i volti, le parole, i silenzi e i momenti di preghiera pieni di senso, le notti passate insieme, le camminate, tutte le risate. Tornare a casa cambiati, un po’ più veri, un po’ più ricchi, un po’ più vivi è il senso più bello di ogni viaggio. Grazie.
Giulia (Parrocchia Buon Pastore)

 

Un’esperienza che aiuta a ritrovare sé stessi. Durante gli incontri di preparazione al Giubileo, ho conosciuto altri e, grazie a questi amici, sono riuscita a stare così distante da casa nonostante fosse la mia prima volta.
Questa esperienza mi ha portata ad avere più fiducia in me stessa e ad affrontare situazioni di difficoltà, distanti dalla propria comodità, ma nelle quali si sono creati rapporti, quasi più sani e veri, di quelli abituali. Un’esperienza che mi porterò sempre nel cuore.
Asia (Parrocchia Navicella)

 

Le cose che mi hanno colpito e fatto riflettere: la prima è stata la Via Lucis, soprattutto perché era stata ambientata ai giorni nostri e con parole attuali, che, almeno per me, mi hanno invogliato ad ascoltarla ancora di più; la seconda è stata la Porta Santa, attraversarla per me è stato un motivo per capire ancora di più quello per cui ho voluto andare al Giubileo; l’ultima ma non per importanza, è stata la Messa in Piazza San Pietro: quello che mi ha colpito maggiormente è stato vedere la quantità di adolescenti e giovani che c’erano, non avrei mai pensato che ci sono ancora così tante persone che seguono la fede cristiana, cosa che secondo me non è scontata.
La parola speranza è quella che mi è stata impressa di più perché, per me, speranza vuol dire fiducia, cosa che devo ancora “scoprire/dare”. Inoltre, mi ha colpito molto la frase che don Giovanni ha detto durante la Messa del sabato mattina: “Il Risorto ci fa scomodare”, perché mi fatto capire cosa sono stata disposta a fare per approfondire ancora di più la mia fede.
Giorgia (Parrocchia Navicella)

 

Mi ha colpito la presenza di tanti giovani perché spesso si sente parlare di ragazzi smarriti. È bello vedere tante persone della mia età con una visione profonda della vita nella fede e che creano rapporti veri e non virtuali. Ho visto la forza e la speranza nel costruire un mondo migliore, un mondo di pace, giovani più positivi e felici che mi hanno fatto cambiare punti di vista verso gli altri, guardando il mondo con più semplicità e con meno pregiudizi.
La parola che più mi ha colpito è stata “passaggio”, perché abbiamo attraversato la Porta Santa ma soprattutto perché mi ha fatto riflettere su quante porte (occasioni) abbiamo nella vita. Quando mi si è aperta la “porta” per venire al Giubileo non ci ho pensato un secondo perché sapevo che sarebbe stata un’occasione indimenticabile.
Sofia (Gruppi Vocazionali)

 

Mi ha emozionato tanto andare a San Paolo Fuori le Mura, così grande e bella, assieme a migliaia di miei coetanei con la stessa fede in Gesù. Ho capito che, se lo seguiamo così in tanti, possiamo rendere il mondo più bello e giusto.
Francesca (Salesiani Chioggia)

 

Essendo stati davvero tanti ragazzi, ho avuto difficoltà a focalizzarmi sull’importanza dei momenti cruciali, in più la stanchezza fisica ha influito; nonostante ciò, porto a casa dei pensieri su cui vorrei lavorare per poter vivere la fede cristiana al meglio, come il voler capire quali sono le porte che portano a Cristo Risorto e quali no.
Elena (Gruppi Vocazionali)

 

Appena siamo entrati attraverso la Porta Santa, ho sentito un senso di pace e la prima cosa che mi è venuta in mente di fare è stata dire una preghiera per tutte le persone in difficoltà: di salute, ma anche per altri motivi. Mi sarebbe piaciuto molto vedere affacciarsi dal balcone di piazza S. Pietro Papa Francesco, che penso sarebbe stato contento di vedere tutti noi ragazzi riuniti insieme. Ma sento comunque di aver avuto la sua benedizione vedendo passare la papamobile con la sua bara dietro.
Margherita (Salesiani Chioggia)

 

Un insieme di giovani, ognuno con storia, cultura, nazionalità differenti, con in comune il sentimento della speranza riposta nel cristianesimo, con il desiderio di cercare Dio e la pace di cui oggi più che mai abbiamo bisogno. Questa esperienza ci ha lasciato un segno indelebile perché, vedendo tutti questi giovani pellegrini, abbiamo arricchito il nostro animo di fede e misericordia.
Giacomo e Letizia P. (Scout Chioggia 2)

L’infinita misericordia di Dio: è Cristo che apre il suo cuore e dona tutto il suo amore“, con queste parole il Vescovo Giampaolo ci ha preparati a varcare la Porta Santa. Il Vescovo, infatti, ha voluto essere presente all’evento, condividendo l’esperienza e partecipando attivamente fin dai tre incontri di preparazione proposti dalla Pastorale Giovanile.
Toccare quella porta e attraversarla è come passare attraverso il cuore di Gesù: la sua infinita misericordia“, ci ha annunciato il Vescovo, e così ci ha chiesto di tenere il cuore aperto e sempre disponibile alla sua chiamata all’amore.

Sperare contro ogni speranza“. Lo scriveva san Paolo nella Lettera ai Romani 4, 18; sembrava conoscere già la cultura attuale in cui veniva proposto il Giubileo degli Adolescenti.
Ha sorpreso la folla di ragazzi che hanno aderito, più di novemila solo dal Triveneto. È stato un segno palpitante per le nostre Chiese del Nord-Est: giovani entusiasti e desiderosi di essere protagonisti della loro fede in Gesù.
Nel suo complesso, l’evento è stato un momento di grande speranza, intessuto di amicizia, bellezza, fatica, gioia, in un clima di consapevolezza del dono di una comunità credente che abbraccia il mondo. È stato un cammino interiore, scandito da tappe che ci hanno coinvolto prima e durante il Giubileo, e che continueranno a interpellarci nel prossimo futuro, come per l’appuntamento programmato per venerdì 23 maggio. Un percorso segnato da momenti che hanno aperto il cuore alla fede, orientato il desiderio di un’amicizia più grande, alimentato la comunione tra i giovanissimi della Diocesi.

I ragazzi hanno partecipato, al venerdì, alla preghiera della Via Lucis; al sabato, hanno vissuto il passaggio della Porta Santa di San Paolo Fuori le Mura; la domenica, la Messa in Piazza San Pietro.
Un’avventura che ha visto adolescenti e giovani educatori farsi compagni di viaggio, pellegrini di speranza. Ci è mancata la presenza di Papa Francesco e la canonizzazione del Beato Carlo Acutis, in riferimento alla quale il Vescovo aveva donato un libro ai partecipanti per approfondirne la figura.
Ci rimane, tuttavia, il dono di amicizie nate e consolidate, di una fatica condivisa, di una comunità più grande: quella di una Chiesa fatta di ragazzi che ha riempito Piazza San Pietro e Via della Conciliazione ben oltre le aspettative! Ora spetta a noi continuare a lavorare perché la speranza continui ad ardere nei nostri cuori, come Papa Francesco ci ha indicato.

 

Don Giovanni Vianello
Delegato diocesano per la Pastorale Giovanile e Vocazionale

Immagine Articolo 'Ardono di speranza i nostri cuori'

Nell’esatto momento in cui tutti abbiamo preso posto sui pullman che ci avrebbero portato a Roma, in ognuno di noi è scattato qualcosa: la realizzazione che il percorso affrontato durante i momenti di incontro con gli altri compagni di viaggio stava finalmente prendendo forma e che ne saremmo tornati diversi, più arricchiti, forse addirittura cambiati.

Il filo conduttore di queste tre intense giornate è stato la pazienza. Iniziata fin dal viaggio in pullman e che è proseguita, poi, in un susseguirsi di “code”: la coda per ritirare il kit del pellegrino, per avviarsi al luogo in cui avremmo soggiornato, per procedere verso la Basilica dei Santi Pietro e Paolo per la preghiera della Via Lucis, per rispettare i tempi e le esigenze dei diversi gruppi, per trovare un posto in cui mangiare o, semplicemente, per andare al bagno.
È stata un’attesa a cui siamo stati chiamati in quanto caratteristica per eccellenza del pellegrino: lo spirito di adattamento. Proprio come ha sottolineato don Giovanni, “Il Risorto ci scomoda”, e non poteva scegliere forse frase più adatta per descrivere la prima delle sfide davanti alle quali ci siamo trovati, sia come partecipanti sia come educatori: la sistemazione nelle tende fornite dalla Protezione Civile.

La situazione che ci si è presentata davanti è stata del tutto inedita per la maggior parte di noi. E per la prima volta, stretti in quelle tende, ci siamo posti la domanda: “Ne varrà la pena?”.
La risposta non ha bisogno di troppi giri di parole: assolutamente sì.
Sì, perché, proprio da questa prima “scomodità”, ci siamo messi tutti in gioco affinché quella pazienza che inizialmente avevamo interpretato come noiosa e passiva, diventasse la chiave di lettura per vivere al meglio ogni piccolo momento. Una pazienza carica di speranza, quindi, di entusiasmo e di riflessione, per affrontare un passo alla volta tutte le tappe del nostro Giubileo, per consolidare i rapporti e le relazioni fra i partecipanti e imparare ad avere cura delle necessità reciproche.
Insomma, a forza di rimanere “compatti per non perderci”, alla fine è successo sul serio, e non solo a livello fisico: ci siamo sentiti spiritualmente vicini attraverso un legame che ci ha accompagnati durante tutto il cammino.

Questo Giubileo era rivolto agli adolescenti e sono stati proprio loro, alla fine, a guidare concretamente le azioni di noi educatori e a fornirci nuove lenti per osservare e vivere questa esperienza con un cuore attento, aperto e che sapesse affrontare con entusiasmo ogni piccola difficoltà trasformandola in un’occasione di crescita e di arricchimento: è stato un esercizio di fidarsi e affidarsi.

Capitava spesso di incrociare il nostro passo con altri gruppi e lo sguardo inevitabilmente cadeva sulle magliette che tutti indossavamo e sul logo che riportava la scritta “Peregrinantes in Spem”, “Pellegrini di speranza”.

Che cos’è stata e che cos’è allora questa speranza?

È avere avuto il coraggio di uscire dalle nostre piccole realtà per sperimentare qualcosa di più grande e che in modo diretto o indiretto ci ha messi in contatto con persone da tutto il mondo, facendoci riconoscere come comunità cristiana universale e riunita per rispondere alla chiamata del Signore. È aver potuto mettere in atto una forma nuova di servizio mettendoci in ascolto continuo, consapevoli che non siamo soli, anzi, tutti insieme possiamo essere la luce che illumina la strada verso il futuro, come ci ha ricordato spesso Papa Francesco.

 

Sara Gandolfo e Silvia Boscolo Cegion

Immagine Articolo 'Riconoscersi pellegrini di speranza'

Il passaggio attraverso la Porta Santa è durato solo pochi istanti, ma racchiude in sé una serie di intenzioni, riflessioni, incontri e scelte profonde. È stato il culmine di un cammino iniziato prima del Giubileo, attraverso momenti di preparazione, penitenza e ascolto, accompagnati dai sacerdoti e dagli educatori che, con pazienza, ci hanno guidato e hanno risposto alle nostre domande.

Il Vescovo Giampaolo ci ha invitati a interrogarci: è più importante l’evento o il cammino che lo ha preceduto e che lo seguirà?
Il vero valore sta proprio nel percorso: negli incontri di preparazione che ci hanno coinvolto in attività di conoscenza e riflessione; nelle scelte personali che ci hanno spinti a superare paure e dubbi per accettare la proposta di partecipazione; nella confessione del Sabato Santo, che ci ha introdotti nel vero senso del Giubileo e preparati al passaggio attraverso la Porta Santa.

L’esperienza è stata bella seppure imperfetta: ci sono state fatiche, imprevisti, riorganizzazioni dovute anche alla morte del Papa. Ma l’importante è ora elaborare ciò che abbiamo vissuto, affinché non resti solo un bel ricordo, ma diventi parte viva della nostra storia personale.
Attraversando quella Porta, abbiamo affidato a Dio non solo le nostre speranze, ma anche quelle dei familiari, degli amici e di tutte le persone che abbiamo portato nel cuore e con cui abbiamo condiviso la scelta di vivere questa esperienza.

Una cosa che ci ha colpito durante il momento di preghiera alla Basilica di San Paolo Fuori le Mura è stata la moltitudine di adolescenti presenti e che hanno partecipato attivamente, cantando e battendo le mani al ritmo dei canti. L’enorme Basilica si è riempita per ben tre volte, solamente per i partecipanti delle Diocesi del Triveneto, e ciò fa capire ancora meglio quanti ragazzi hanno preso parte a questa grande avventura.
Dopo il passaggio della Porta Santa, ci sono state poste alcune domande che ci hanno aiutato a capire che il gesto simbolico di attraversare la Porta non basta: siamo chiamati a un cambiamento concreto, a un nuovo atteggiamento nel cammino dietro al Signore.
Siamo stati accompagnati anche dalla lettura di alcune riflessioni, tutte introdotte dalla frase: “Cerco una porta che mi permetta di entrare…”:

  • Nelle relazioni che viviamo: il desiderio di costruire legami veri e profondi, non fermandosi alla superficialità;
  • Nel mondo: il sogno di portare speranza anche dove sembra non essercene più, riconoscendo che, anche nel nostro piccolo, possiamo fare la differenza;
  • Dentro di noi: la domanda su quali porte abbiamo attraversato, stiamo attraversando e vogliamo attraversare, per orientarci sempre più verso la luce;
  • Nell’eternità: la ricerca di un senso più grande, la certezza che siamo parte di un disegno d’amore che ci supera e ci chiama.

Un’occasione che ci ha invitato a prendere sul serio la nostra vita e la speranza che custodiamo in essa: attraversare la Porta Santa è stato un gesto simbolico, ma la vera sfida è scegliere ogni giorno di camminare verso la luce, lasciandoci guidare dalla speranza e dalla fiducia nel Signore.

 

Beatrice e Claudia Tiozzo Brasiola
Azione Cattolica Chioggia

Immagine Articolo 'Il passaggio della Porta Santa'

La Speranza è… Meraviglia. Semplicità. Margine di miglioramento. Dono che Dio che ci fa e che ricerchiamo continuamente. Luce. La Speranza è strana. È Futuro. Un cammino. Percorso. Costante. Voglia di vivere. Felicità. Importanza. Fonte di vita. Visione del mondo. Curiosità. Libertà di pensiero. Credere con tutto sé stesso una cosa precisa. Aspettare. Credere. Avere qualcosa a cui affidarsi.
Ma Speranza sono anche le persone intorno a te. Fiducia nella possibilità di un mondo migliore. Viaggio da affrontare. Vivere con passione e amore…

Una sola parola: Speranza. Eppure tante risposte diverse da parte dei giovani (o giovanissimi) partecipanti che hanno vissuto l’esperienza del Giubileo degli Adolescenti. Un piccolo gioco – quello proposto durante il viaggio verso Roma – che ha dato l’opportunità di tracciare una linea, un punto di partenza, dei propri pensieri, del proprio cuore. Un piccolo grande termine di paragone rispetto alla strada che si è compiuta durante il pellegrinaggio, in questo caso non tanto in termini fisici, spaziali, misurabili, ma in riferimento al percorso della propria vita, alla propria sfaccettata umanità.

E allora è affascinante, ora, guardarsi indietro, se pur nel tempo di pochi giorni, di un’esperienza tanto breve quanto intensa. Darsi, cioè, l’opportunità di accorgersi del distacco, del grado di separazione, rispetto a quel punto iniziale. Magari accompagnati da alcune delle parole che hanno guidato l’ultima tappa del cammino, quelle del Cardinale Pietro Parolin durante l’omelia della celebrazione presieduta in Piazza San Pietro la mattinata di domenica 27 aprile. Riconoscendosi ancor di più, ora che siamo tornati, pellegrini di speranza.

[Cari giovani e adolescenti che siete venuti da tutto il mondo a celebrare il Giubileo], Di fronte alle tante sfide che siete chiamati ad affrontare […] non dimenticate mai di alimentare la vostra vita con la vera speranza che ha il volto di Gesù Cristo. Nulla sarà troppo grande o troppo impegnativo con Lui! Con Lui non sarete mai soli né abbandonati a voi stessi, nemmeno nei momenti più brutti! Egli viene ad incontrarvi là dove siete, per darvi il coraggio di vivere, di condividere le vostre esperienze, i vostri pensieri, i vostri doni, i vostri sogni, di vedere nel volto di chi è vicino o lontano un fratello e una sorella da amare, ai quali avete tanto da dare e tanto da ricevere, per aiutarvi ad essere generosi, fedeli e responsabili nella vita che vi attende, per farvi comprendere ciò che più vale nella vita: l’amore che tutto comprende e tutto spera (cfr. 1Cor 13,7)”.

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'La Speranza è...'

C’è per te un messaggio, un tema oppure una situazione che ti ha particolarmente toccato in questi giorni?

Una domanda in apparenza semplice, spontanea. Ma che nasconde una piccola insidia, soprattutto quando l’esperienza che si è vissuta sta per concludersi, portando con sé un bagaglio significativo di emozioni, di fatiche, di pensieri che ormai corrono velocemente verso casa.
È il rischio di cui spesso parla il Vescovo Giampaolo rivolgendosi ai giovani, un messaggio che non è mancato anche lungo la strada del ritorno dal Giubileo degli Adolescenti, vissuto a Roma lo scorso fine settimana: “Non è la quantità delle esperienze affrontate a fare la differenza, a cambiare la vita, ma la capacità di rielaborare, di far sì che ciò che si è vissuto non si limiti alla dimensione del passatempo e affondi le proprie radici in profondità, pizzicando le corde più sensibili della propria esistenza“.

Significativa, allora, è la risposta di Lorenzo P., di sedici anni, che è stato colpito dal fatto di poter “cogliere gli imprevisti come opportunità“.
[Fin da prima della partenza per il Giubileo], ci sono stati diversi “imprevisti” – tra tutti, la morte del Papa – che hanno portato a stravolgere completamente il programma, ma ci sono stati anche tanti altri piccoli imprevisti, come il campo mobile che ci ha ospitato a Roma, il freddo durante la notte, i “letti”… Non lo avrei mai immaginato per la mia vita, però, dai, sono riuscito a prenderla con filosofia“.
Una risposta che, proprio come la domanda, nasconde una sfumatura più profonda. Perché ciò che ha spinto a prendere parte a questa avventura non è confortevole, agiato, “comodo”. “Il Risorto ci scomoda, ci scomoda sempre“, come ha sottolineato con forza don Giovanni durante l’omelia della S. Messa celebrata in suffragio di Papa Francesco, nel giorno dei funerali. Una scomodità che, spesso, disarma, che mette alla prova, ma che permette alla propria vita di aprirsi a una prospettiva più grande, più autentica, più vera.

E ancora Giulia D., di quindici anni, scrive: “La cosa che mi ha colpita di più durante il Giubileo è stato il fatto di aver avuto la possibilità di ottenere un perdono più “speciale” rispetto a quello che, [nell’ordinario], si riceve con il sacramento della confessione. Passare attraverso la Porta Santa è stato molto emozionante, ho avuto l’occasione di consolidare di più la mia fede e credo sia una cosa che mi ricorderò per tutta la vita“.
Una risposta che non può non aprire il cuore, che meraviglia. E che ci conferma ancora una volta come l’orizzonte del futuro sia più limpido di quanto generalmente viene raccontato. La straordinaria capacità delle persone, soprattutto dei più giovani, di spiazzarci, di cogliere il bello dove altri trovano solamente un ostacolo, di sorprenderci quando ne viene data loro l’opportunità.
L’orizzonte di una speranza che non delude, mai.

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'Il Risorto ci scomoda'

Sì, la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza: a partire da questo avvenimento, sperare non è più un’illusione. No. Grazie a Cristo crocifisso e risorto, la speranza non delude! Spes non confundit! (cfr Rm 5,5). E non è una speranza evasiva, ma impegnativa; non è alienante, ma responsabilizzante.

La fermezza di parole scritte nel momento della massima fragilità. Parole, le ultime di Papa Francesco prima del ritorno alla casa del Padre, che richiamano la speranza. Spes non confundit. Una speranza che non delude e che mai potrebbe farlo.
Perché la speranza, la vera speranza, è fortemente ancorata alla realtà, non è “evasiva”, non è vaga o sfuggente. La speranza è elemento di vita. E, come ogni vita, nella propria straordinarietà, non può che responsabilizzare, affinché ciascuno possa essere chiamato a prendersene cura, a coltivarla, ad accoglierla, ad amarla, a far sì che fiorisca e dia frutto.

Continua, poi, il messaggio di Papa Francesco: “Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita“.
È, insomma, una “vita sacrificata”. Un sacrificio, tuttavia, che non si tinge delle sfumature opache di un privarsi fine a sé stesso, di un trascurare, di una rinuncia che trascina con sé le proprie aspirazioni, i propri desideri. Ma un “rendere sacro”, il supremo atto di affidare la propria vita all’Amore che genera ogni altro amore. La visione di una vita che si espande, si allarga, non limitandosi a una pigra sopravvivenza, ad avvitarsi senza sosta su sé stessa. Una vita di cui è stato testimone, in tutta la sua straripante umanità, in ogni riflesso della sua risoluta tenerezza, Papa Francesco.

Il suo messaggio pasquale, allora, accompagnato dalla benedizione “Urbi et Orbi”, sembra richiamare l’eco del saluto di un padre alla propria famiglia, quando è prossimo alla partenza, chiamato ad andare lontano senza la certezza di poter tornare. Forse soprattutto per chi era desideroso di incontrarlo, per chi era già pronto a mettersi in cammino, vestendo gli abiti del pellegrino, nella speranza (anche) di poter condividere quell’esperienza con lui.
E davvero, alla luce di questo, l’esperienza giubilare non potrà che aprirsi, trasformarsi, ancorarsi maggiormente alla vita. La morte non potrà prevalere in alcun modo sulla speranza. Perché “nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte. Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)!“.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

PGV Immagine Articolo 'Lui solo può far nuove tutte le cose'