Author: cdvocazionichioggia

A poche ore dalla partenza del Papa da Venezia cerco di raccogliere la ricchezza di una visita tanto breve quanto intensa e carica di messaggi che sono una consegna non solo per Venezia ma anche per noi, cristiani, uomini e donne di Chioggia che con Venezia condividiamo il mare e la laguna, la bellezza e la fragilità, l’arte e il lavoro.

Provo a sintetizzare attorno ad alcune frasi pronunciate dal Papa quanto vorremmo restasse dopo questa visita e si scolpisse nei nostri cuori.

Ore 8.15: «Oggi ricomincio». La prima parola il Papa l’ha consegnata alle detenute del carcere femminile della Giudecca e anche a tutti noi che nella vita abbiamo sbagliato. Chi non ha fatto errori? Non siamo in carcere, ma tutti portiamo delle ferite, tutti spesso diciamo: «Se tornassi indietro non farei quella cosa». Papa Francesco ha usato un’immagine molto bella: la speranza è come un ancora, ancorata nel futuro, e noi abbiamo tra le mani la corda. Possiamo sempre ripartire, ricominciare, rialzarci. La prima parola che risuona all’inizio di ogni nostra giornata potrebbe essere proprio questa: oggi ricomincio, oggi posso ripartire.

Ore 9: «Con i miei occhi». È il titolo del padiglione curato dalla Santa Sede alla biennale di Venezia. E papa Francesco ha parlato della bellezza, dello sguardo che Dio ha per noi e di quello che noi possiamo custodire verso tutto quello che ci circonda. «L’arte ci educa a uno sguardo non possessivo, non oggettivante, ma nemmeno indifferente, superficiale; ci educa a uno sguardo contemplativo». Il mondo ha bisogno di artisti e, aggiungo io, ha bisogno che tutti diventiamo artisti cioè persone dallo sguardo contemplativo che riconoscono il bello che c’è attorno a noi, nelle persone e nelle giornate che ci vengono donate. Chi inizia la giornata con una passeggiata sulla diga di Sottomarina o vede il tramonto sulla laguna può capire queste parole e custodire quello sguardo, lo sguardo di un artista, per tutta la giornata.

Ore 10: «Alzati e vai». L’incontro con i giovani che rappresentavano tutte le diocesi del nord-est è stato un momento spumeggiante, un dialogo vivace e intenso tra il Pastore e il suo giovane gregge partito quando ancora era buio per non mancare all’appuntamento. «Alzati perché sei fatto per il cielo … Guardati come Dio ti guarda e ti vede in tutta la bellezza di figlio amato … Alzati e prega Dio che ti faccia innamorare della vita e della tua vita … E se fai fatica lascia che sia il Signore a rialzarti … Alzati e aiuta chi incontri a rialzarsi … Alzati e resta in piedi … Alzati e vai per essere un dono per chi incontrerai … Alzati e vai per dare vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile; allora sarai rivoluzionario». I giovani hanno risposto con entusiasmo a questo invito del Pastore che è rivolto a tutti noi perché ogni giornata sia gioiosa, vissuta da innamorati, anzi da rivoluzionari.

Ore 11: «Rimanete in me e io in voi». A coronare la mattinata il commento al vangelo dove Gesù parla di sé come della vite e di noi come dei tralci (Gv 15,1-8). Il forte invito a rimanere uniti alla vite per portare frutto è risuonato in piazza San Marco come consegna alle nostre Chiese e a ciascuno di noi. Dio ha cura di noi e a noi è chiesto di custodire questo “dono inestimabile” del legame con la vite. «Il legame con Lui non imprigiona la nostra libertà ma, al contrario, ci apre ad accogliere la linfa dell’amore di Dio, il quale moltiplica la nostra gioia». E ancora: «Rimanere nel Signore significa crescere; sempre rimanere nel Signore significa crescere, crescere nella relazione con Lui, dialogare con Lui, accogliere la sua Parola, seguirlo sulla strada del Regno di Dio». Quella che potrebbe sembrare una riflessione tutta spirituale, il Papa l’ha tradotta a livello sociale pensando a Venezia ma anche alla nostra città: «Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano: i cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine». Credo che queste parole abbiamo toccato il cuore dei tanti sindaci e autorità presenti in piazza perché un applauso le ha evidenziate. Rimanere uniti alla vite sono parole rivolte a noi cristiani prima di tutto, chiamati a diventare costruttori di città a misura d’uomo, belle, fraterne, solidali, sensibili ai problemi e alle sfide di questo nostro tempo.

Ore 12: «Per le tante situazioni di sofferenza nel mondo». La preghiera del Regina Coeli, che ogni domenica è accompagnata dalle parole del Papa dalla finestra di piazza San Pietro, oggi si è levata al Padre da Venezia per giungere là dove le guerre uccidono la bellezza della vita, quella bellezza che Venezia rappresenta per tutto il mondo. Il Papa ha chiamato per nome solo alcune delle sofferenze del mondo: «Penso ad Haiti, dove è in vigore lo stato di emergenza … Penso alla martoriata Ucraina, alla Palestina e a Israele, ai Rohingya e a tante popolazioni che soffrono a causa di guerre e violenze. Il Dio della pace illumini i cuori perché cresca in tutti la volontà di dialogo e di riconciliazione». Un invito forte a sentirsi fratelli e sorelle di tutti quelli che soffrono, a portare nel cuore e nella preghiera la nostra umanità ricca e fragile proprio come Venezia. Nessuna giornata sia rinchiusa nelle nostre piccole cose, ma abbia sempre il respiro del mondo, quel mondo che Dio affida a ciascuno di noi.

Rileggendo queste parole del Papa mi sembra di cogliere quasi un vademecum per le nostre giornate, come se papa Francesco avesse voluto guidarci a viverle da cristiani che abbracciano ogni giorno come un dono da vivere in pienezza, ripartendo sempre di nuovo, con uno sguardo contemplativo, con l’entusiasmo di alzarsi e andare portando nel cuore il mondo intero. Il segreto per poter vivere così ogni giorno è l’invito a rimanere uniti alla vite per poter portare frutto. Noi veneti consociamo le viti; i tralci non sono semplicemente “attaccati” alla vite, a volte sono proprio “avvinghiati” ad essa come se temessero di perdere quel legame che per loro è la condizione per vivere.

Una brezza leggera ha accompagnato tutta questa mattinata; il sole si è fatto vedere, ma senza disturbare troppo per permetterci di gustare le parole del Papa e di sentirle come una carezza per la nostra vita e per il nostro cammino. La fatica di papa Francesco, i suoi spostamenti su una semplice carrozzina e la sua fragilità, hanno reso ancora più vere e significative le sue parole e la sua presenza.
Grazie papa Francesco, temevamo fosse una visita troppo breve, avremmo desiderato trattenerti di più tra noi, ma quanto ci hai donato è un tesoro prezioso che cercheremo di custodire perché cresca la vita e la vita cristiana in queste nostre terre e in particolare nella nostra laguna dove la bellezza ci stupisce e ci aiuta a gustare il dono di ogni giornata.

 

+ Giampaolo Dianin
Vescovo di Chioggia

Sono Daniele Mozzato, ho 34 anni e ad oggi sono l’unico seminarista della nostra Diocesi (in realtà, oltre a me c’è un altro ragazzo che è impegnato nel cammino di discernimento propedeutico al seminario). Essendo l’unico seminarista, durante la settimana (dalla domenica sera al sabato mattina) risiedo presso il Seminario Maggiore di Padova.
A Padova, oltre a vivere la vita comunitaria in seminario e la formazione umana e spirituale che in esso ricevo, studio presso la Facoltà Teologica del Triveneto (sono al secondo anno del ciclo istituzionale in Teologia). Nel fine settimana, invece, svolgo il mio servizio presso l’Unità Pastorale di Rosolina, Volto e Albarella.

Sono originario di Villaggio Busonera, una piccola parrocchia del cavarzerano, dove sono sempre stato molto attivo: il coro, il catechismo, i chierichetti, ecc. Oltre a questo, c’era il mio percorso formativo: l’istituto agrario prima, la laurea (triennale e magistrale) in scienze forestali e ambientali poi e, visto che la voglia di studiare non era ancora finita, il dottorato di ricerca in economia agraria. Ed è così che mi sono ritrovato a lavorare nel mondo della ricerca all’interno dell’università, fino ad arrivare anche all’insegnamento dentro alla stessa facoltà nella quale ero stato studente.

Ma dentro il mio cuore ho sempre portato delle domande di senso, che per molto tempo sono rimaste in disparte, in attesa che io prendessi in mano la mia vita per capire come spenderla al meglio.
Nel settembre del 2018 ho accettato la proposta dell’allora nuovo rettore del seminario della nostra Diocesi, don Giovanni Vianello, che mi chiedeva di entrare a far parte del Centro Diocesano Vocazioni, così da formare, con altri giovani e adulti, un’équipe che lavorasse per avviare l’esperienza dei gruppi vocazionali diocesani (per i quali sono impegnato ancora oggi). Lavorando con i ragazzi, però, sono finito, quasi senza che io me ne accorgessi, a lavorare anche su me stesso. E così, nel tempo, ho maturato la scelta di abitare una dimensione nuova per me, fino ad arrivare alla decisione di incamminarmi lungo il percorso di formazione in seminario, non tanto in virtù della certezza della meta (che resta comunque sperata nel cuore), quanto più nella certezza che darmi del tempo per stare con il Signore Gesù è un dono grande che mi faccio e che Lui fa a me, accompagnandomi per mano a scoprire quel sogno che Egli ha per me da sempre.

Inseguire questo sogno è quindi il primo motivo per cui desidero diventare prete. Solo nella sequela di Cristo, infatti, sento che la mia vita può trovare piena realizzazione: stare con Lui, camminare dietro a Lui, affidarmi a Lui è quello che cerco di fare giorno per giorno. Ancora, desidero diventare prete perché sento una chiamata a svolgere un servizio di cui c’è bisogno, di cui la mia e nostra Chiesa di Chioggia ha estremo bisogno, non tanto per la carenza di preti (che pure innegabilmente c’è) quanto più per l’urgenza di portare Cristo tra la gente e formare comunità sempre meno legate al “si è sempre fatto così” e sempre più radicate in Cristo stesso e nel suo Vangelo. Io non salverò nessuno, poiché Cristo ci ha già salvati tutti, ma voglio e chiedo a Lui la forza di impegnarmi a dare tutto quello che posso per portare il suo messaggio di amore e di libertà.

Con queste speranze arrivo a dire, in piena libertà, un primo “Eccomi” al Signore Gesù, chiedendo al nostro Vescovo Giampaolo di essere ammesso tra i candidati agli Ordini Sacri del diaconato e del presbiterato.
Il rito di ammissione sarà celebrato il prossimo giovedì 9 maggio, alle ore 21, presso la Parrocchia di Rosolina. Chiunque abbia piacere di parteciparvi e può essere presente è ben accetto. A tutti, però, chiedo soprattutto un ricordo nella preghiera a sostegno del mio cammino incontro al sogno che Dio ha per me.

 

Daniele Mozzato
Seminarista

Giunti ormai oltre la metà dell’anno pastorale, mentre a Roma si è dato avvio ai gruppi di studio sulle tematiche del sinodo, si può dire qualche parola sul percorso intrapreso in diocesi sui diversi ambiti suggeriti dal Vescovo nella sua Lettera. Il Vescovo, infatti, nella Lettera Pastorale dal titolo “Partirono senza indugio”, delinea i tratti necessari per maturare delle comunità cristiane sinodali.

In primo luogo, la comunità è il luogo dove si vive e si trasmette la fede in Gesù Cristo con tutto ciò che ne consegue. È chiaro che la “costruzione” di tali comunità, non parta da zero, ma dalla realtà ecclesiale esistente. L’obiettivo infatti è quello di maturare, tra i fedeli, una consapevolezza crescente della vita cristiana, della chiamata battesimale, in primis. E, se necessario, anche di crescere nella corresponsabilità a riguardo delle comunità, che sempre più si trovano povere di ministri ordinati.
Risulta quindi necessario che crescano forme di servizio e di ministerialità che siano nel segno di una comunione ecclesiale e di una dedizione che prosegue nel tempo. Questo affinché possa avvenire una responsabilità sempre maggiore tra i laici battezzati e si crei la possibilità di équipe pastorali che, assieme ai presbiteri, aiutino le comunità a credere in Gesù e a professare la propria fede.

È la grande sfida che già il Concilio Vaticano II aveva posto parlando di chiesa come popolo di Dio visto
nella sua unità e nella sua diversità.
Ricorre, infatti, in Lumen gentium 10 e 12 il tema della comunione: “Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma «distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui» (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: «A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio» (1 Cor 12,7)”.
Inoltre, va detto che il Concilio stesso aveva ripreso la riflessione del rapporto tra i diversi membri del popolo di Dio. È stato esplicitato con chiarezza quanto sia importante considerare il dono del battesimo come la grande sorgente che abilita tutti alla vita cristiana. Si parla così di partecipazione attiva, di collaborazione, ecc.

Ciò che Papa Francesco chiede oggi alla Chiesa e ciò che il nostro Vescovo Giampaolo domanda a noi è di continuare il cammino intrapreso già più di sessant’anni fa, facendo attenzione al cambiamento d’epoca, che, sotto tutti gli aspetti, stiamo ancora vivendo.
In questi primi mesi di cammino diocesano (ma in continuità con la riflessione iniziata tre anni fa), il tema delle comunità cristiane sinodali ha cominciato a essere oggetto di riflessione qua e là nelle diverse zone pastorali della diocesi, iniziando a considerare altresì il tema della ministerialità. Anche a livello diocesano, poi, nelle strutture di partecipazione ecclesiale, ha trovato modo di essere approfondita la mission della corresponsabilità e della ministerialità, con tutto ciò che ne può conseguire. Lo si è fatto, più in particolare, sia al Consiglio Pastorale diocesano sia al Coordinamento degli Uffici pastorali.

Un altro aspetto significativo, che spesso è stato portato alla luce grazie alle riflessioni richieste dal cammino sinodale, è la necessità di una formazione. Si sta quindi pensando a quale possibile formazione si possa offrire, come diocesi, per aiutare tutti a maturare processi nuovi, che aiutino le nostre comunità cristiane ad attingere e a sostenersi nella fede in Cristo. Un’offerta di formazione che dovrà essere per tutti, perché ciascuno abbia l’opportunità di approfondire il dono della vita cristiana, ma anche una formazione per quanti svolgeranno compiti precisi nelle comunità assumendosi delle specifiche responsabilità.

Anche per quanto riguarda l’iniziazione cristiana, l’Ufficio Catechistico ha avviato una pista di lavoro (inviando dei questionari a sacerdoti e catechisti), chiedendo una valutazione del percorso fatto fino a oggi. Dopodiché, seguirà una più ampia riflessione diocesana, che dovrà portare a delle precisazioni di percorso, ma soprattutto dovrà aiutare i cammini nel periodo della mistagogia. Un lavoro che si intreccia con il cammino del terzo anno sinodale, in cui ci è chiesto un discernimento sulla vita delle nostre comunità.

Ci fa bene pensare che la Chiesa non sia un monolite statico attorno a cui tutto deve ruotare, ma sia invece formata di donne e uomini che camminano guidati dallo Spirito, che sempre suscita profeti, pastori, carismi, cristiani che imparano ad amare e testimoniare Gesù e il suo vangelo sopra ogni cosa, e che tralasciano ciò che può essere di ingombro a questo amore vivo, fosse anche qualche vecchia struttura o qualche usanza ormai obsoleta.
Insomma, al centro di tutto questo lavoro e di quanto si maturerà si trova il popolo di Dio, che desidera vivere la fede e camminare assieme in una esperienza nuova di comunione e di fraternità evangelica, attento ai bisogni di ciascuno e rigenerato continuamente dall’eucaristia. Un percorso in cui non c’è uno schema da seguire già predisposto ma la provocazione di una lettura costante e profonda del divenire della realtà ecclesiale e del suo potenziale realizzarsi nei diversi contesti.
La vita di fede, che è dono dello Spirito Santo, si accresce così in ogni possibile incontro, iniziativa, itinerario proposto e riguarda tutti. Sta al pastore (al Vescovo) riconoscerne i segni e delinearne le strade percorribili.

 

Don Giovanni Vianello
Delegato per il Coordinamento della Pastorale

L’esperienza dei Gruppi Vocazionali “Il Mandorlo” e “Il Sicomoro” propone ogni anno un campo vocazionale, che mette a tema l’amicizia con Gesù e con i compagni di cammino.

Quest’anno il campo si svolgerà ad Assisi e sarà nei giorni che vanno dall’8 al 13 agosto.
Assisi, in particolare, ci darà l’opportunità di percorrere le vicende e la vita di san Francesco e di santa Chiara e ci donerà anche di incontrare il beato Carlo Acutis, giovane testimone dei nostri giorni.
Il tema, poi, seguirà quello suggerito dall’Ufficio Nazionale Vocazioni: “Creare Casa” (ChV, 217).

I santi sono uomini e donne che hanno lasciato spazio a Cristo nella loro casa interiore. Sono testimoni di accoglienza di fratelli e sorelle poveri e indifesi. Sono stati – e sono tutt’ora – esempio di vita cristiana compiuta perché donata; una vita nuova ricevuta in dono e offerta al mondo.
Con le ragazze e i ragazzi che parteciperanno desideriamo quindi metterci sulle strade di testimoni attraverso racconti di vita, giochi e momenti di fraternità, perché, affascinati e attratti dal vangelo di Gesù, loro possano tradurre nel proprio cuore, nei propri affetti, nella propria intelligenza quanto sia bello creare in sé una casa che sappia accogliere Cristo e che si lasci amare da lui. La vita allora può svolgersi nel dono di sé in maniera libera e gratuita.

Per quanti vogliano chiedere informazioni e iscriversi al campo vocazionale, è possibile fare riferimento al numero 349 291 4796 o, in alternativa, all’indirizzo di posta elettronica ‘cdvocazionichioggia@gmail.com‘.

 

Don Giovanni Vianello,
Direttore dell’Ufficio Diocesano Vocazioni

L’équipe della Pastorale Vocazionale diocesana propone, quest’anno presso l’Unità Pastorale Navicella-San Michele Arcangelo di Chioggia, una settimana (da domenica 14 a domenica 21 aprile) di sensibilizzazione e preghiera sul tema vocazionale.

La parola ‘vocazione’ potrebbe apparirci ormai desueta o riguardante solo alcune categorie (di solito, sacerdoti e consacrate/i), sebbene in realtà riguardi tutti i battezzati ed esprima il disegno di Dio per ciascuno di noi. Vocazione è infatti donare la propria vita accogliendo e intrecciando con gioia due sogni: quello di Dio e quello nostro, che mai si contraddicono.

La settimana vocazionale, che avrà come titolo “Creare Casa” (ChV, 217), vuole essere un momento di condivisione di testimonianze vocazionali, che aiutino a guardare la vita nel suo svolgersi cristianamente. Il poliedro di vocazioni – dono di Dio – è una ricchezza per la chiesa e per il mondo ed è bello poterle narrare sempre per il bene di tutti e per illuminare la strada dei più giovani.
La stessa Veglia Diocesana di Preghiera per tutte le Vocazioni, che si svolgerà giovedì 18 aprile, alle ore 21:00, presso la chiesa della Beata Vergine Maria della Navicella, metterà in luce il dono di una particolare storia vocazionale. Alla preghiera siamo tutti invitati, in particolare i giovani.

“Creare Casa”, infine, è anche il tema della 61^ Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno si celebrerà domenica 21 aprile. Tutti i sacerdoti e gli animatori liturgici sono chiamati a dare particolare rilievo a questa Giornata invitando i fedeli alla preghiera.
Il tema suggerisce un invito per le nostre comunità, ossia cercare di creare spazi possibili di accoglienza perché ciascuno possa far crescere e coltivare la propria vocazione.

 

Don Giovanni Vianello
Direttore dell’Ufficio Diocesano Vocazioni

Per il giorno sabato 2 marzo 2024, presso il Seminario Vescovile Diocesano, a partire dalle ore 20:00, è stata programmata una cena come occasione di presentazione ufficiale di Esperienza Missionela proposta missionaria diocesana che prenderà avvio – con un percorso formativo di quattro incontri – nel corso del mese di febbraio 2024.

Si tratta di un’occasione che si propone, da un lato, di condividere il significato profondo dell’esperienza missionaria e, dall’altro, una raccolta fondi finalizzata all’autofinanziamento della proposta di missione presso la parrocchia di Bwoga-Chioggia, in Burundi, nel corso della terza e della quarta settimana del mese di luglio 2024.

La Diocesi di Chioggia propone un percorso formativo in vista di un’eventuale esperienza missionaria in Africa, per vivere la quotidianità, l’annuncio e l’impegno dei missionari, confrontandosi con altre culture e condividendone la fede.

L’esperienza si svolgerà durante la terza e la quarta settimana del mese di luglio 2024 presso la parrocchia di Bwoga-Chioggia, in Burundi, dove operano le suore della Congregazione delle Serve di Maria Addolorata, e i giovani partecipanti avranno la possibilità di offrire un tempo di animazione, realizzare qualche lavoro nella scuola in costruzione – sostenuta anche con le offerte del tempo di Avvento della Caritas diocesana – e fare esperienza delle tradizioni locali.

Si tratta, quindi, di una proposta che arricchirà per primi i partecipanti ma che potrà anche diventare successivamente testimonianza e annuncio nelle comunità diocesane.

“Creare Casa”

Dal 3 al 5 gennaio 2024 si è svolto a Roma il consueto Convegno Nazionale Vocazioni. Questo appuntamento è diventato una tappa fissa all’inizio dell’anno per il Centro Diocesano Vocazioni, che, sfruttando la modalità online per seguirlo, si è ritrovato in quei tre giorni presso Casa San Luigi delle Serve di Maria Addolorata, a Sottomarina. Il tema del Convegno, organizzato dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale … Continua a leggere “Creare Casa” »

Il 28 e 29 dicembre 2023 si è svolta una due giorni di fraternità con i Gruppi Vocazionali “Il Mandorlo” e “Il Sicomoro”. Giorni intensi, ricchi di incontri e di amicizia.

Il primo giorno ci ha visti pellegrini a Venezia, alla Basilica di Santa Maria della Salute, dove abbiamo celebrato l’eucarestia affidando a Gesù per mezzo di Maria il cammino che stiamo facendo. Sia alla Salute sia alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari (nel pomeriggio) siamo stati accolti e accompagnati da guide che ci hanno introdotti nella storia e nella fede del popolo veneziano attraverso l’arte. Una fede ancora viva, quella cristiana, che oggi intercetta anche noi e che ci provoca a vivere dei “tempi” e dei “luoghi” significativi che ci aiutino a conoscere e approfondire la nostra vita. Uno sguardo al passato e uno al presente, sulle nostre vite, per aprirci a un futuro pieno di sogni e di speranze. Perché Gesù ci raggiunge ancora, da una storia che ci precede e in una storia che ci attende, venendoci incontro dal futuro e aprendoci alla speranza.
Il Natale è Gesù in mezzo a noi e vogliamo aiutarci a scorgere la sua presenza.

Dopo la notte trascorsa insieme in seminario, il venerdì abbiamo dedicato del tempo per riscoprire il valore dell’amicizia, attraverso il gioco, e nel metterci in ascolto della Parola di Dio che la liturgia ci ha offerto nel tempo natalizio.

In questa fraternità, le ragazze e i ragazzi hanno saputo condividere anche la loro fede. C’è chi ha descritto il suo rapporto con Dio come in un dialogo con un amico; c’è chi ha espresso il bisogno di preghiera perché sente che è esperienza di bellezza; chi ancora sente che può perdonare gli altri perché si sente perdonato da Gesù; chi ha espresso la bellezza della vita cristiana sperimentata nell’arte; chi si è lasciato provocare dalle parole della Liturgia del giorno o dalle riflessioni fatte. Insomma un’opportunità per quanti hanno vissuto questa esperienza, per sentirsi amati da Cristo e responsabili di questa misura d’amore nel mondo.

Le ultime ore sono state dedicate all’ascolto di due giovani testimoni: Daniele Mozzato (seminarista) e Nicola Chieregato (giovane del Gruppo Vocazionale “Il Cedro”). Ci hanno spronato a riflettere sulla vita cristiana come un cammino in comunione con altri fratelli e sorelle, dove si impara a lasciare spazio a Gesù e all’azione del suo Spirito, diventando capaci di scelte mature e decisive per la vita.

Richiamati a vivere fraternamente tra noi e con tutti abbiamo fatto nostre le parole del Vescovo Giampaolo, che durante i Vespri ci ha fatto riflettere su come Cristo ci ha salvati e noi siamo oggetto di questa vita nuova che è venuta ad abitare in mezzo a noi con il suo Natale.

Équipe del Centro Diocesano Vocazioni

Parlare di libertà è difficile, è “rischioso”, a maggior ragione quando i propri interlocutori sono giovani o addirittura giovanissimi.
È difficile perché, spesso, quando si pensa alla libertà, il solo tentativo di prendere in considerazione un limite, un confine, sembra del tutto inappropriato. Può forse la libertà non essere assolutamente “libera”? Può la libertà non corrispondere alla possibilità – almeno potenziale – di cavalcare le più varie manifestazioni della propria volontà?
Ma parlare di libertà è anche “rischioso”. Da un lato, si corre il rischio, di fatto, di non parlarne veramente, rimanendo a una dimensione tanto abbozzata e superficiale da non creare nel proprio interlocutore alcun interesse, alcun desiderio. Dall’altro, emerge il rischio di descrivere una libertà illusoria, una libertà che non potrà mai essere raggiunta davvero.

E allora – ci si chiede – è possibile parlare di libertà? O, in fin dei conti, è possibile essere liberi?

Interessante come, nel corso del Campo Vocazionale proposto dal Centro Diocesano Vocazioni, un primissimo approccio a queste domande sia avvenuto all’interno del “Carmelo” di Bologna, un monastero. E ancor più interessante come la libertà sia stata subito legata a un’esperienza di coraggio e di amore. Quell’Amore originario e gratuito ricevuto dal Padre e che non può trovare una via diversa dalla sua condivisione, da una sua massima diffusione.
“Non una vita di clausura ma di custodia”.
E davvero non ci può convincere del contrario dopo aver ascoltato il racconto di suor Veronica, originaria di Sottomarina, e di suor Teresa Benedetta, priora del convento. Il racconto di una ricerca instancabile, di uno svelamento travagliato dei propri desideri più profondi, di un personale percorso di ricerca della felicità (e della propria libertà). Il racconto di un’alba di fine primavera diventata, per suor Veronica (prima Valeria), una meravigliosa epifania: “Sono tua”.

Ritorniamo, quindi, alla domanda iniziale: è possibile esseri liberi (magari vivendo per la quasi totalità del proprio tempo all’interno di un monastero)? E se sì, come?

La libertà, in questo senso, sembra non esaurirsi in una dimensione fisica, spaziale. La libertà richiede la capacità di spogliarsi e di rivestirsi. Da un lato, la capacità di spogliarsi delle proprie maschere, delle proprie certezze apparenti, di quel “tutto” che si limita a imbiancare la superficie di una vita “sepolta”. Dall’altro, la capacità di rivestirsi di ciò che più fa risuonare il proprio cuore, di benedire il tempo della prova, di rivestirsi di Cristo.
Si tratta di una libertà di cui è stato (e ancora è) testimone il beato Giuseppe Olinto Marella, sulle cui orme è stato fortemente voluto l’intero campo vocazionale e che ne incarna quasi una definizione. Dopotutto, Padre Marella è stato un uomo libero, un sacerdote libero, un insegnante libero. Ma non di una libertà approssimativa o illusoria. È stato libero di quella stessa libertà che Cristo, amando fino al sacrificio, con Amore ha desiderato per ciascuno di noi.

“Cristo ci ha liberati per la libertà”.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni