Author: cdvocazionichioggia

Il passaggio attraverso la Porta Santa è durato solo pochi istanti, ma racchiude in sé una serie di intenzioni, riflessioni, incontri e scelte profonde. È stato il culmine di un cammino iniziato prima del Giubileo, attraverso momenti di preparazione, penitenza e ascolto, accompagnati dai sacerdoti e dagli educatori che, con pazienza, ci hanno guidato e hanno risposto alle nostre domande.

Il Vescovo Giampaolo ci ha invitati a interrogarci: è più importante l’evento o il cammino che lo ha preceduto e che lo seguirà?
Il vero valore sta proprio nel percorso: negli incontri di preparazione che ci hanno coinvolto in attività di conoscenza e riflessione; nelle scelte personali che ci hanno spinti a superare paure e dubbi per accettare la proposta di partecipazione; nella confessione del Sabato Santo, che ci ha introdotti nel vero senso del Giubileo e preparati al passaggio attraverso la Porta Santa.

L’esperienza è stata bella seppure imperfetta: ci sono state fatiche, imprevisti, riorganizzazioni dovute anche alla morte del Papa. Ma l’importante è ora elaborare ciò che abbiamo vissuto, affinché non resti solo un bel ricordo, ma diventi parte viva della nostra storia personale.
Attraversando quella Porta, abbiamo affidato a Dio non solo le nostre speranze, ma anche quelle dei familiari, degli amici e di tutte le persone che abbiamo portato nel cuore e con cui abbiamo condiviso la scelta di vivere questa esperienza.

Una cosa che ci ha colpito durante il momento di preghiera alla Basilica di San Paolo Fuori le Mura è stata la moltitudine di adolescenti presenti e che hanno partecipato attivamente, cantando e battendo le mani al ritmo dei canti. L’enorme Basilica si è riempita per ben tre volte, solamente per i partecipanti delle Diocesi del Triveneto, e ciò fa capire ancora meglio quanti ragazzi hanno preso parte a questa grande avventura.
Dopo il passaggio della Porta Santa, ci sono state poste alcune domande che ci hanno aiutato a capire che il gesto simbolico di attraversare la Porta non basta: siamo chiamati a un cambiamento concreto, a un nuovo atteggiamento nel cammino dietro al Signore.
Siamo stati accompagnati anche dalla lettura di alcune riflessioni, tutte introdotte dalla frase: “Cerco una porta che mi permetta di entrare…”:

  • Nelle relazioni che viviamo: il desiderio di costruire legami veri e profondi, non fermandosi alla superficialità;
  • Nel mondo: il sogno di portare speranza anche dove sembra non essercene più, riconoscendo che, anche nel nostro piccolo, possiamo fare la differenza;
  • Dentro di noi: la domanda su quali porte abbiamo attraversato, stiamo attraversando e vogliamo attraversare, per orientarci sempre più verso la luce;
  • Nell’eternità: la ricerca di un senso più grande, la certezza che siamo parte di un disegno d’amore che ci supera e ci chiama.

Un’occasione che ci ha invitato a prendere sul serio la nostra vita e la speranza che custodiamo in essa: attraversare la Porta Santa è stato un gesto simbolico, ma la vera sfida è scegliere ogni giorno di camminare verso la luce, lasciandoci guidare dalla speranza e dalla fiducia nel Signore.

 

Beatrice e Claudia Tiozzo Brasiola
Azione Cattolica Chioggia

Immagine Articolo 'Il passaggio della Porta Santa'

La Speranza è… Meraviglia. Semplicità. Margine di miglioramento. Dono che Dio che ci fa e che ricerchiamo continuamente. Luce. La Speranza è strana. È Futuro. Un cammino. Percorso. Costante. Voglia di vivere. Felicità. Importanza. Fonte di vita. Visione del mondo. Curiosità. Libertà di pensiero. Credere con tutto sé stesso una cosa precisa. Aspettare. Credere. Avere qualcosa a cui affidarsi.
Ma Speranza sono anche le persone intorno a te. Fiducia nella possibilità di un mondo migliore. Viaggio da affrontare. Vivere con passione e amore…

Una sola parola: Speranza. Eppure tante risposte diverse da parte dei giovani (o giovanissimi) partecipanti che hanno vissuto l’esperienza del Giubileo degli Adolescenti. Un piccolo gioco – quello proposto durante il viaggio verso Roma – che ha dato l’opportunità di tracciare una linea, un punto di partenza, dei propri pensieri, del proprio cuore. Un piccolo grande termine di paragone rispetto alla strada che si è compiuta durante il pellegrinaggio, in questo caso non tanto in termini fisici, spaziali, misurabili, ma in riferimento al percorso della propria vita, alla propria sfaccettata umanità.

E allora è affascinante, ora, guardarsi indietro, se pur nel tempo di pochi giorni, di un’esperienza tanto breve quanto intensa. Darsi, cioè, l’opportunità di accorgersi del distacco, del grado di separazione, rispetto a quel punto iniziale. Magari accompagnati da alcune delle parole che hanno guidato l’ultima tappa del cammino, quelle del Cardinale Pietro Parolin durante l’omelia della celebrazione presieduta in Piazza San Pietro la mattinata di domenica 27 aprile. Riconoscendosi ancor di più, ora che siamo tornati, pellegrini di speranza.

[Cari giovani e adolescenti che siete venuti da tutto il mondo a celebrare il Giubileo], Di fronte alle tante sfide che siete chiamati ad affrontare […] non dimenticate mai di alimentare la vostra vita con la vera speranza che ha il volto di Gesù Cristo. Nulla sarà troppo grande o troppo impegnativo con Lui! Con Lui non sarete mai soli né abbandonati a voi stessi, nemmeno nei momenti più brutti! Egli viene ad incontrarvi là dove siete, per darvi il coraggio di vivere, di condividere le vostre esperienze, i vostri pensieri, i vostri doni, i vostri sogni, di vedere nel volto di chi è vicino o lontano un fratello e una sorella da amare, ai quali avete tanto da dare e tanto da ricevere, per aiutarvi ad essere generosi, fedeli e responsabili nella vita che vi attende, per farvi comprendere ciò che più vale nella vita: l’amore che tutto comprende e tutto spera (cfr. 1Cor 13,7)”.

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'La Speranza è...'

C’è per te un messaggio, un tema oppure una situazione che ti ha particolarmente toccato in questi giorni?

Una domanda in apparenza semplice, spontanea. Ma che nasconde una piccola insidia, soprattutto quando l’esperienza che si è vissuta sta per concludersi, portando con sé un bagaglio significativo di emozioni, di fatiche, di pensieri che ormai corrono velocemente verso casa.
È il rischio di cui spesso parla il Vescovo Giampaolo rivolgendosi ai giovani, un messaggio che non è mancato anche lungo la strada del ritorno dal Giubileo degli Adolescenti, vissuto a Roma lo scorso fine settimana: “Non è la quantità delle esperienze affrontate a fare la differenza, a cambiare la vita, ma la capacità di rielaborare, di far sì che ciò che si è vissuto non si limiti alla dimensione del passatempo e affondi le proprie radici in profondità, pizzicando le corde più sensibili della propria esistenza“.

Significativa, allora, è la risposta di Lorenzo P., di sedici anni, che è stato colpito dal fatto di poter “cogliere gli imprevisti come opportunità“.
[Fin da prima della partenza per il Giubileo], ci sono stati diversi “imprevisti” – tra tutti, la morte del Papa – che hanno portato a stravolgere completamente il programma, ma ci sono stati anche tanti altri piccoli imprevisti, come il campo mobile che ci ha ospitato a Roma, il freddo durante la notte, i “letti”… Non lo avrei mai immaginato per la mia vita, però, dai, sono riuscito a prenderla con filosofia“.
Una risposta che, proprio come la domanda, nasconde una sfumatura più profonda. Perché ciò che ha spinto a prendere parte a questa avventura non è confortevole, agiato, “comodo”. “Il Risorto ci scomoda, ci scomoda sempre“, come ha sottolineato con forza don Giovanni durante l’omelia della S. Messa celebrata in suffragio di Papa Francesco, nel giorno dei funerali. Una scomodità che, spesso, disarma, che mette alla prova, ma che permette alla propria vita di aprirsi a una prospettiva più grande, più autentica, più vera.

E ancora Giulia D., di quindici anni, scrive: “La cosa che mi ha colpita di più durante il Giubileo è stato il fatto di aver avuto la possibilità di ottenere un perdono più “speciale” rispetto a quello che, [nell’ordinario], si riceve con il sacramento della confessione. Passare attraverso la Porta Santa è stato molto emozionante, ho avuto l’occasione di consolidare di più la mia fede e credo sia una cosa che mi ricorderò per tutta la vita“.
Una risposta che non può non aprire il cuore, che meraviglia. E che ci conferma ancora una volta come l’orizzonte del futuro sia più limpido di quanto generalmente viene raccontato. La straordinaria capacità delle persone, soprattutto dei più giovani, di spiazzarci, di cogliere il bello dove altri trovano solamente un ostacolo, di sorprenderci quando ne viene data loro l’opportunità.
L’orizzonte di una speranza che non delude, mai.

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'Il Risorto ci scomoda'

Sì, la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza: a partire da questo avvenimento, sperare non è più un’illusione. No. Grazie a Cristo crocifisso e risorto, la speranza non delude! Spes non confundit! (cfr Rm 5,5). E non è una speranza evasiva, ma impegnativa; non è alienante, ma responsabilizzante.

La fermezza di parole scritte nel momento della massima fragilità. Parole, le ultime di Papa Francesco prima del ritorno alla casa del Padre, che richiamano la speranza. Spes non confundit. Una speranza che non delude e che mai potrebbe farlo.
Perché la speranza, la vera speranza, è fortemente ancorata alla realtà, non è “evasiva”, non è vaga o sfuggente. La speranza è elemento di vita. E, come ogni vita, nella propria straordinarietà, non può che responsabilizzare, affinché ciascuno possa essere chiamato a prendersene cura, a coltivarla, ad accoglierla, ad amarla, a far sì che fiorisca e dia frutto.

Continua, poi, il messaggio di Papa Francesco: “Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita“.
È, insomma, una “vita sacrificata”. Un sacrificio, tuttavia, che non si tinge delle sfumature opache di un privarsi fine a sé stesso, di un trascurare, di una rinuncia che trascina con sé le proprie aspirazioni, i propri desideri. Ma un “rendere sacro”, il supremo atto di affidare la propria vita all’Amore che genera ogni altro amore. La visione di una vita che si espande, si allarga, non limitandosi a una pigra sopravvivenza, ad avvitarsi senza sosta su sé stessa. Una vita di cui è stato testimone, in tutta la sua straripante umanità, in ogni riflesso della sua risoluta tenerezza, Papa Francesco.

Il suo messaggio pasquale, allora, accompagnato dalla benedizione “Urbi et Orbi”, sembra richiamare l’eco del saluto di un padre alla propria famiglia, quando è prossimo alla partenza, chiamato ad andare lontano senza la certezza di poter tornare. Forse soprattutto per chi era desideroso di incontrarlo, per chi era già pronto a mettersi in cammino, vestendo gli abiti del pellegrino, nella speranza (anche) di poter condividere quell’esperienza con lui.
E davvero, alla luce di questo, l’esperienza giubilare non potrà che aprirsi, trasformarsi, ancorarsi maggiormente alla vita. La morte non potrà prevalere in alcun modo sulla speranza. Perché “nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte. Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)!“.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

PGV Immagine Articolo 'Lui solo può far nuove tutte le cose'

Che cosa spinge a partecipare a un’esperienza come il Giubileo degli Adolescenti? Quali ragioni, oggi, possono accompagnare una ragazza, un ragazzo, un giovane a dire di sì, a mettere lo zaino in spalla, a partire?

In fin dei conti, l’esperienza giubilare non è un viaggio come gli altri, ma è un mettersi in cammino prima ancora della partenza, un pellegrinaggio più che verso un luogo fisico verso un atto d’amore. È un’occasione per camminare da soli ma anche insieme, come piccola comunità, come Chiesa.
E allora non deve stupire il desiderio di Beatrice T., di quattordici anni, che è spinta, prima di tutto, dalla ricerca di novità. “La voglia di provare nuove esperienze e di conoscere nuove cose“. Un desiderio che, per la sorella maggiore, Claudia, di ventiquattro anni, trova una dimensione più strutturata, dei tratti più decisi: “Ho deciso di partecipare [come accompagnatrice] per vivere un clima di giovinezza autentica. Spesso sentiamo parlare della mancanza di giovani nei nostri gruppi (il che, sotto certi aspetti, è vero). Però, quello che mi preoccupa è che, a causa di questa constatazione, rischiamo di non vedere la bellezza di quei ragazzi che invece ci sono, che hanno voglia di mettersi in gioco, di vivere esperienze significative e di portare avanti una Chiesa viva e giovane. Ho deciso, quindi, di partecipare per vedere con i miei occhi questi ragazzi ‘all’opera’: ragazzi che stanno costruendo la loro fede personale ma anche una fede da condividere con i pari, con la comunità, e da riportare a casa, ciascuno nei propri ambienti di vita“.
Fede. Condivisione. Comunità. Casa. Proprio ciò di cui parla anche Chiara V., di quasi diciassette anni, che è felice di poter vivere questa esperienza insieme a un gruppo di amiche e di amici dei gruppi vocazionali diocesani, per lei la “garanzia di esperienze uniche e irripetibili“. Una “spinta” emozionante la sua, che trova espressione “nel poter realizzare qualcosa che i [suoi] genitori [le] hanno raccontato fin da quando era bambina, le varie Giornate Mondiali della Gioventù e il Giubileo del 2000“.

Ma un viaggio, un qualsiasi viaggio, non può non prevedere anche un piccolo bagaglio aggiuntivo. Il bagaglio delle proprie aspettative, delle proprie attese, quasi come la sensazione di gustare un cibo che abbiamo davanti ai nostri occhi o di cui ne percepiamo il profumo.
E, se per Beatrice sembra accendersi il fuoco di una fatica che conduce alla meraviglia, Chiara e Claudia hanno nitida di fronte a loro l’immagine del Beato Carlo Acutis, la cui canonizzazione originariamente era prevista per la mattinata di domenica 27 aprile. Un’immagine che la prima conserva “preziosamente nel cuore perché porta il nome di [suo] fratello” e per un amore in comune, quello per la città di Assisi. E un’immagine che, per la seconda, rappresenta “un esempio luminoso“, affinché l’orizzonte di autenticità della sua fede “diventi un’opportunità di crescita spirituale, che semini speranza e crei legami duraturi“.

Ora, non resta che partire. Magari con un invito particolare nel cuore, quello rivolto da Papa Francesco ai giovani in occasione della visita a Venezia, il 28 aprile 2024: “Giovane che vuoi prendere in mano la tua vita, alzati! Apri il cuore a Dio, ringrazialo, abbraccia la bellezza che sei; innamorati della tua vita. E poi vai! Alzati, innamorati e vai! Esci, cammina con gli altri, cerca chi è solo, colora il mondo con la tua creatività, dipingi di Vangelo le strade della vita. Per favore, dipingi di Vangelo le strade della vita! Alzati e vai. […] Ascolta questa chiamata, ripetila dentro di te, custodiscila nel cuore”.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Il 26 gennaio 2025 la Chiesa ha celebrato la sesta domenica della Parola di Dio voluta da papa Francesco perché tutti i cristiani scoprano e riscoprano sempre più la centralità della Sacra Scrittura nella propria vita e nel cammino della Chiesa.

Per la nostra diocesi è una domenica che vogliamo celebrare in modo particolare nell’anno in cui abbiamo messo al centro la Parola di Dio nella costruzione delle Comunità Cristiane Sinodali.
Ricordo quanto scritto nella mia Lettera Pastorale: «Il primo muro portante delle Comunità cristiane sinodali che vorremmo costruire non è opera nostra, ma tutta di Dio. È l’evento della Parola che ci viene donata e che, se da noi accolta e messa in pratica, ci converte, ci consola, ci indica le vie della vita, ci accarezza e ci sferza».

Il pensiero va ai due discepoli di Emmaus che ascoltano Gesù dopo che Lui aveva accolto il loro smarrimento e ascoltato i loro sfoghi. «Non ci ardeva forse il cuore mentre ci parlava lungo la via?». La Parola arriva a noi ricca di provocazioni concrete che riguardano tutti gli aspetti fondamentali della nostra esistenza: la vita, la morte, l’amicizia, il dolore, l’amore, la famiglia, il lavoro, le varie relazioni personali, la solitudine, i segreti movimenti del cuore, i grandi fenomeni sociali; tutta la vita umana ci
viene consegnata dalla Parola di Dio in una luce nuova e vera. E noi, mentre incontriamo questa Parola, incontriamo noi stessi, il nostro passato, il nostro futuro, i nostri fratelli, incontriamo soprattutto Dio. Il Concilio descriveva così la Parola: «In essa ci viene incontro il Dio vivente che nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2).

Senza un cuore che arde per l’incontro con Gesù non andremo molto lontani né come cristiani né come Chiesa, ma resteremo imprigionati nelle nostre idee, schiavi del pensare comune, attirati da altre voci che regalano molte illusioni.
La Parola di Dio rivela chi siamo, perché esistiamo, dove stiamo andando. La Parola non è solo un messaggio di vita o un dialogo tra Dio e l’uomo, è molto di più perché la Parola agisce in noi. Se noi la prendiamo sul serio, non come parola di uomini, ma come Parola di Dio, questa opera in noi come una medicina che ci guarisce; la Parola, infatti, è «viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).

Ringrazio il Signore che in diverse parrocchie siano partite iniziative per accostarsi al testo biblico, conoscerlo e amarlo. L’iniziativa di mettere in mano agli operatori pastorali le letture del giorno grazie a un semplice libricino tascabile è stata apprezzata e può aiutare ad accostarsi personalmente alla Parola.
Papa Francesco ci dice con forza: «È indispensabile che la Parola di Dio diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale. La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana» (EV 174).

Il sogno che porto nel cuore per questo anno pastorale è che tutti noi possiamo sentire rivolta a noi la Parola come una lettera d’amore che il Signore scrive proprio per me e che dal cuore scaldato e bruciato da questo incontro possa nascere un cammino personale e comunitario, cresca la nostra vita cristiana fondata su questa roccia, ci sia qualche disponibilità per costruire le nostre comunità, e siamo
pronti, con un cuore convertito, a edificare nei prossimi anni gli altri muri delle nostre Comunità Cristiane Sinodali.

 

Vescovo + Giampaolo

Copertina Articolo Domenica della Parola

Testo tratto dall’edizione n.° 4 del 26 gennaio 2025 di Nuova Scintilla, settimanale d’informazione della Diocesi di Chioggia

Il Giubileo che abbiamo aperto […] in Cattedrale ci invita ad essere “pellegrini di speranza”.

Questo santuario è una delle chiese giubilari della nostra diocesi, dove possiamo accostarci alla Confessione e compiere quei gesti che la Chiesa ci propone per ottenere quella misericordia sovrabbondante che caratterizza un Giubileo. In questo luogo Maria ha spronato i nostri padri a intraprendere un cammino di conversione; è un appello che risuona anche oggi. È Maria che invita proprio noi a diventare pellegrini di speranza.

Le domande che possiamo porci oggi sono semplici ma essenziali: «Desidero intraprendere questo pellegrinaggio?», «Cosa cerco se c’è qualcosa che cerco e desidero per quest’anno santo?», «Il dono di Dio è a disposizione di ciascuno, ma noi lo desideriamo questo dono? Ci interessa?».

I magi sono un esempio bello e provocante all’inizio di quest’anno: loro avevano domande, desideri, si sono messi in cammino, hanno lasciato i loro palazzi confortevoli e hanno intrapreso un cammino scomodo e rischioso. I magi sono stati “pellegrini di speranza” nonostante avessero la forza del loro sapere, avessero ricchezze e una vita agiata; ma questo non riempiva il loro cuore. Cercavano un re da adorare forse perché consapevoli che il sapere, la ricchezza e la vita agiata erano solo degli idoli ma non un Dio da adorare.
I magi avevano le loro verità ma non erano chiusi nelle loro idee e nelle loro abitudini; erano curiosi di aprirsi ad altre prospettive, onesti cercatori di un di più per la loro vita. Dio si lascia trovare da chi lo cerca, mentre rimane una statua inerme e senza vita per coloro che si accontentano di quello che sono. E noi cristiani del XXI secolo rischiamo di essere soddisfatti di una religione statica, legata alle nostre abitudini, ripetitiva nei gesti e nelle parole, spesso annoiata e brontolona delle mille cose che non vanno, ma lontana dalla prospettiva di diventare pellegrini e inquieti cercatori di un di più.

La prima caratteristica del pellegrino di speranza è mettersi in discussione, uscire dalla zona di conforto della propria fede e vita cristiana. Possono essere tante le zone di conforto: la mia Messa, a quell’ora perché mi è comodo; il mio gruppo dove mi sento a casa e faccio le cose che mi piacciono; il mio modo di pregare, sempre lo stesso da anni; la confessione ripetitiva e formale; l’attaccamento alle mie devozioni che mi danno sicurezza; un Dio incastrato tra mille altre cose a cui dare qualche spicciolo del mio tempo prezioso.
I magi sono attratti da una stella. Il termine desiderio deriva proprio da siderum che in latino significa stella. Il desiderio ci attrae, ci spinge a rischiare, a metterci in cammino quando le cose non sono chiare, senza sapere se effettivamente riusciremo a trovare una risposta a quello che cerchiamo. Senza desideri non ci metteremmo in cammino. Quando non desideriamo più, siamo fermi, in un certo senso siamo già morti.

I magi sono così desiderosi di raggiungere la loro meta che hanno l’umiltà di chiedere, di farsi aiutare.
Se ci sentiamo autosufficienti, se siamo orgogliosi dei nostri pensieri, del nostro modo di vivere, non cercheremo mai un aiuto. Dio si lascia trovare da chi lo cerca ed è disposto a trovarlo dove non pensava potesse esserci. Cercavano un re e trovano un bambino; cercavano una città importante e si trovano in un villaggio sconosciuto; cercavano un palazzo reale e trovano una stalla.
I pellegrini di speranza non possono essere persone chiuse nel loro piccolo mondo. Occorre aprirsi alla novità e non intestardirsi a ripercorre i tratti di strada che ormai conosciamo bene. Forse proprio su quelle vie ormai consumate e battute Dio non si fa più trovare.
Dio è novità, Dio è oltre, Dio spesso è altrove rispetto a dove tu lo vorresti trovare. Noi siamo abituati a percorrere sempre le stesse strade e se non lo incontriamo diciamo che non c’è, ma lui c’è, c’è sempre, ma probabilmente è altrove e ti chiede di diventare pellegrino.

C’è un rischio per il Giubileo che ci sta davanti: ridurlo a una pratica, a delle formule, a dei gesti che non ci scomodano più di tanto. Il rischio è di essere come Erode che vorrebbe adorare il re ma rimane chiuso nel suo palazzo; o come i sacerdoti e gli scribi che sanno tutto delle Scritture ma non si schiodano dalle loro scrivanie.
Il Giubileo non può essere una pagina da leggere o una pratica da compiere, ma dev’essere un’esperienza da vivere, un incontro da desiderare, una vita che vogliamo riprendere in mano, un tesoro che forse non abbiamo ancora scoperto.

Si dice che l’Epifania tutte le feste si porta via, ma noi non vogliamo che ci venga rubata la speranza, vogliamo il coraggio dei magi, i desideri che come le stelle ci sospingono, la decisione di metterci in cammino, oltre i luoghi conosciuti, oltre le abitudini di sempre, oltre una fede ridotta a pratiche, oltre i nostri recinti… Possa il Giubileo regalarci l’incontro con Gesù, un Gesù che credevamo di conoscere ma non era così; sarà così se saremo insieme “pellegrini di speranza”.

 

Vescovo + Giampaolo

Immagine Articolo GiubileoTesto tratto dall’edizione n.° 3 del 19 gennaio 2025 di Nuova Scintilla, settimanale d’informazione della Diocesi di Chioggia

Anche quest’anno il Centro Diocesano Vocazioni ha partecipato al Convegno Nazionale Vocazioni organizzato dalla CEI – Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni insieme al Servizio Nazionale di pastorale giovanile, dal 3 al 5 gennaio 2025.
L’équipe della pastorale vocazionale ha seguito i lavori convegnistici da remoto, usufruendo di tale modalità per vivere un momento di fraternità tra i componenti presso la “Casa di spiritualità Santa Dorotea” di Asolo (TV), ascoltando gli interventori in sincrono con la capitale e discutendo i temi trattati e le riflessioni proposte sul tema: “Credere Amare Sperare […] progettare itinerari di pastorale giovanile e vocazionale”.

Preziosa la presenza del Vescovo Giampaolo, il quale nella mattina di venerdì 3 gennaio ha offerto ai presenti un’illuminante lectio sul tema degli itinerari, in particolare l’itinerario spirituale dei magi presentato dalla liturgia il giorno dell’Epifania del Signore (Mt 2,1-12); un cammino auspicabile il loro, paradigmatico per le proposte del Centro Diocesano Vocazioni, al quale è affidata una giovane porzione del popolo di Dio nella nostra diocesi in cui seminare i valori insiti nel suddetto Vangelo: essere adoranti e dono al Verbo incarnato.

Il Convegno si è aperto con una relazione dal tema: “La Parola nella Pietra” di p. Filippo Carlomagno della Compagnia di Gesù, il quale ha introdotto i tanti significati biblici e teologici degli elementi architettonici della Sagrada Família, segni che ciascuno può reinterpretare nella vita, nel proprio cammino spirituale, segni che sono l’accesso per i nostri giovani ai misteri della fede, immagini icastiche che provocano la ricerca, specie in questo anno di Grazia nel quale la Chiesa fa esperienza della Misericordia del Signore e in essa i nostri ragazzi sono accompagnati dagli educatori vocazionali ad attingere dalla Parola anche nel supporto artistico, scultoreo e liturgico.

Il Convegno poi ha trattato l’esercitazione alla complessità, richiamando la necessità dell’esame di realtà in una società frammentata in cui però perseguire la sfida all’unità, la comunione di tutte le vocazioni.
Nello stesso contesto, di una società assai eterogenea, p. Andrea Picciau, gesuita, ha offerto al Convegno la sua esperienza, indicando ai delegati i criteri per progettare itinerari vocazionali, ponendo l’attenzione al lavoro di rete tra le parrocchie e le comunità, alla formazione degli educatori, la gradualità dei percorsi, invitando a sollecitare i giovani con maggiori responsabilità per la propria crescita, una responsabilità declinata come servizio e non potere, un esercizio di Carità.

I membri dell’équipe vocazionale, terminato l’ascolto con un approfondimento sulle reti digitali, che sono promettente strumento di condivisione, ma anche contatto previo e postumo con le “abitazioni” digitali dei partecipanti alle proposte della pastorale delegata a don Giovanni Vianello, hanno poi avuto occasione di confrontarsi lungamente quanto proficuamente nei propri lavori, effettuando una verifica dell’ultimo anno e riconoscendo le sfide future.

La Chiesa di Chioggia è in cammino, grazie al Padre è virtuosa: con fede segue una stella, con amore semina nei cuori dei giovani la Verità che ha ricevuto perché diventi senso della loro vita, con speranza attende i tempi di Dio perché germoglino e diventino frutti per essere donati a Colui che del dono è maestro, Gesù.

 

Simone Gazzignato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

CNV 2025 (3 gennaio 2025)

«Perché mi cercavate?»: queste le parole dell’evangelista Luca che hanno accompagnato i ragazzi dei Gruppi Vocazionali “Il Mandorlo”“Il Sicomoro” durante l’esperienza di fraternità vissuta tra il 28 e il 29 dicembre 2024. Il tema centrale? La “soglia”, intesa come quel momento cruciale nella vita di ciascuno, carico di entusiasmo ma anche di paure e di incertezze, una ‘porta’ da varcare.

La prima mattinata è stata arricchita dalla testimonianza di un’esperienza di missione in Burundi (tra i mesi di luglio e agosto 2024), che ha sottolineato l’importanza di uscire da sé stessi e di vivere in comunità.
Nel pomeriggio, poi, l’approfondimento del Vangelo di Luca ha permesso di confrontarsi con la figura di Gesù, che fin da giovane ha mostrato una chiara consapevolezza della propria missione: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Attraverso un percorso di condivisione e preghiera, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di riflettere sulle proprie “soglie” personali, mettendo in luce le gioie e le paure che accompagnano questi momenti di cambiamento.
La giornata quindi si è conclusa con un’introduzione al Giubileo 2025, animata da don Giovanni Vianello. E giochi e risate hanno accompagnato i ragazzi nel corso della serata.

La domenica mattina, il Vescovo Giampaolo ha benedetto l’icona e l’ambone posizionati nella nuova Cappella della Contemplazione e dell’Ascolto della Parola presso il Seminario Vescovile Diocesano. L’icona della Crocifissione, dono della Comunità Missionaria di Villaregia, riprende la raffigurazione da un’icona russa del XIV secolo della scuola di Novgorod. L’ambone, invece, proviene dalla Cattedrale di Chioggia.
Nella sua riflessione, il Vescovo, oltre a spiegare l’icona, ha sottolineato come questa cappella sia un luogo accogliente per i giovani, un po’ come le braccia materne di Maria.

L’esperienza di fraternità vissuta in seminario da una ventina di adolescenti, accompagnati da una decina di educatori, è culminata con la partecipazione alla Santa Messa di apertura dell’Anno Giubilare in Diocesi. Il Vescovo, nell’omelia, ha ribadito l’importanza delle comunità e della fraternità, invitando tutti a camminare insieme, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni: «Siano una cosa sola perché il mondo creda».

 

Nicola Chieregato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Esperienza Missione (28 dicembre 2024)

Di ritorno dall’esperienza missionaria in Burundi, ho fatto posto in valigia anche per una stoffa ricamata a mano da alcune donne del posto che ci è stata regalata da Suor M. Celeste, superiora della comunità “Mater Misericordiae”, e dalle sue consorelle. Oltre alla bellezza dei ricami, mi ha colpito molto la scritta che occupa la posizione centrale nel rettangolo di stoffa: “Maison shalom”, casa di pace. E tra me e me mi sono subito detto che proprio questa poteva essere una efficace espressione di sintesi dell’esperienza che abbiamo vissuto a Bwoga Chioggia e, in particolare, dell’accoglienza che ci hanno riservato non solo le suore ma, più in generale, chiunque abbiamo incontrato durante i giorni della nostra permanenza in quella che mi sento di poter definire la terra benedetta del Burundi.
Ho respirato ovunque un profondo senso di pace e gioia vera proprio perché mi sono sempre sentito accolto, ospitato e, a dirla tutta, anche coccolato. Certo in Africa – e in Burundi, in particolare – non manca la povertà di tanti tipi, in primis quella materiale, ma di sicuro non si può dire che il popolo burundese non sia “ricco” nel vivere le relazioni appieno, anche con il diverso, anche con chi viene da lontano, anche con i muzungu – gli uomini bianchi.
La stessa “ricchezza” portatrice di pace l’ho trovata anche nei più piccoli, con i loro occhi pieni di gioia e di tanta voglia di vivere la vita bella che tutti loro meritano. Proprio con i bambini ho vissuto l’esperienza che mi ha provocato di più: partendo per il Burundi, infatti, ho dovuto lasciare l’animazione estiva della mia parrocchia di servizio ma, per quella che potrei definire una Dio-incidenza (una coincidenza voluta da Dio), mi sono ritrovato a vivere la stessa esperienza nel cortile della missione sulla collina di Bwoga. Qui, però, ho da subito notato come quei piccoli dagli occhi che ti incantano sapessero godere appieno anche del poco che gli veniva offerto quando noi, nelle nostre realtà, non sappiamo più cosa inventarci per attrarre e coinvolgere bambini, ragazzi e giovani. Allora mi chiedo: sono loro i poveri o siamo noi che stiamo vivendo in una povertà che ci toglie la pace e della quale fatichiamo ad accorgerci?
Lascio aperta per voi lettori, ma anche e soprattutto per me, questa provocazione che mi sono
portato a casa dalla terra del Burundi, quella terra benedetta che è casa di pace.

 

Daniele Mozzato
Seminarista