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L’esperienza del campo vocazionale a Limone sul Garda è stata intensa e umanamente coinvolgente. Sono stati giorni di scoperta della vocazione, vissuta non semplicemente come una scelta da compiere, ma come il riconoscimento di una chiamata che nasce da un incontro: Lui che irrompe nella vita e la cambia.

Il punto di partenza è stato l’esempio di San Daniele Comboni, testimone di una vita totalmente spesa per Cristo e per l’uomo. In lui, le ragazze e i ragazzi hanno potuto toccare con mano cosa significhi seguire una presenza che rende l’esistenza compiuta. Ogni gesto, ogni passo della sua vita missionaria è apparso come risposta a un’appartenenza più grande, a un disegno che prende forma nella realtà concreta.
Immersi nella bellezza della natura – che si è rivelata segno tangibile del Mistero – sono stati provocati a interrogarsi sul significato della propria vita come dono ricevuto e hanno intuito che Dio ha un disegno per ciascuno, che si manifesta nella realtà, nei volti e nelle circostanze, se vissute con uno sguardo attento e aperto.

Le testimonianze ascoltate durante il campo sono diventate per tutti un’occasione di verifica personale: la vita, in tutte le sue sfumature, si è svelata come luogo dove Dio si fa presente, e dove il cuore dell’uomo si risveglia alla gratitudine. Molti tra i giovanissimi partecipanti, infatti, hanno parlato di una pace nuova, di una riconciliazione profonda con la realtà, di un’unità ritrovata dentro la frammentarietà quotidiana. Tutto – la natura, l’amicizia, la condivisione – è stato percepito come segno di una Presenza che dà voce al desiderio più autentico del cuore.

Uno degli aspetti più significativi dell’esperienza è stato il rapporto con gli altri, il senso di comunione che si è generato tra le persone presenti: la vocazione non è un percorso individuale, ma si scopre in chi vive con serietà la stessa domanda e lo stesso cammino. Questa unità vissuta ha aperto uno sguardo nuovo sul futuro: più fiducioso, più libero, più pieno di speranza.

Alla fine del campo, le ragazze e i ragazzi sono tornati a casa cambiati: più consapevoli di sé, più desiderosi di vivere con autenticità ogni istante, più certi che ogni frammento di vita quotidiana può essere segno e occasione di un incontro con Cristo. La vocazione, così, non è un peso o un compito da risolvere, ma una strada di libertà, una risposta alla chiamata di Dio che continua a provocare il cuore dell’uomo.

 

Irene Veronese
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Campo Vocazionale 20251

“Se avessi mille vite, le donerei tutte”.
Questo il titolo tratto da una frase di San Daniele Comboni per il Campo Vocazionale 2025, che si è svolto a Limone sul Garda (BS) dal 20 al 23 agosto e che ha visto coinvolti ventidue tra ragazze e ragazzi della scuola secondaria di primo e di secondo grado.

Il tema centrale della proposta è stato quello della missione e del dono di sé, un filo conduttore che ha guidato i partecipanti per quattro giorni.
Accompagnati da don Giovanni Vianello (delegato diocesano per la Pastorale Giovanile e Vocazionale), don Matteo Scarpa, don Simone Doria e da sei educatori del Centro Diocesano Vocazioni, il gruppo ha iniziato l’esperienza a Verona, facendo tappa al Museo Africano, dove tutti si sono immersi nel mondo, il continente africano, a cui San Daniele ha dedicato la propria vita.
Ad accoglierli, per primo, Roberto Valussi, Digital Content Creator per la rivista missionaria ‘Nigrizia’, che ha affrontato il tema dell’informazione legato all’Africa per abbattere stereotipi e false notizie; successivamente, tutti i partecipanti, a coppie, hanno avuto l’opportunità di mettersi alla prova con un gioco della tradizione africana, noto con moltissimi nomi, tra i quali ‘wari’ e ‘awélé’.
Nella seconda parte della giornata, una volta arrivati a Limone sul Garda, presso la struttura gestita dai missionari comboniani, si è tenuta la Messa di apertura dell’esperienza, nel corso della quale don Giovanni ha incoraggiato tutti a coltivare uno “sguardo attento”, capace di scorgere la bellezza nei giorni di fraternità, invitando a trovare momenti di silenzio interiore, in sintonia con la tranquillità del luogo.

Il secondo giorno, il gruppo ha avuto modo di conoscere più approfonditamente la figura di San Daniele Comboni, guidati da padre Donato, missionario comboniano che ha vissuto per trent’anni in Togo. In tarda mattinata, poi, si è unito anche il vescovo Giampaolo, accompagnato da due signore che, nelle occasioni dei campi precedenti, si erano dedicate al servizio della cucina.
Dopo aver celebrato la Messa insieme, tutto il gruppo ha ascoltato le testimonianze di suor Pompea e di fratello Antonio, entrambi missionari comboniani. Nonostante le difficoltà affrontate rispettivamente in America Latina e in Africa (in particolare, in Congo), i due hanno trasmesso la gioia profonda della loro vocazione, sottolineando come la presenza di Dio non li abbia mai abbandonati. E, a seguito delle testimonianze e della condivisione insieme, il vescovo ha lasciato al gruppo tre spunti di riflessione e di lavoro: il primo, coltivare l’originalità di ciascuno (originalità come altro nome della vocazione); il secondo, scoprire la bellezza della presenza di Dio, una presenza sempre discreta; il terzo, scoprire la missione anche tra i giovani, riassumendo con la frase: “Salvare i giovani con i giovani“.

Il terzo giorno si è aperto con una proposta di celebrazione penitenziale, un momento di riflessione per poter ringraziare e chiedere perdono. A seguire, c’è stata la visita alla chiesa parrocchiale di San Benedetto, dove si trovano il fonte battesimale di San Daniele Comboni e alcune reliquie del santo, e, nel pomeriggio, la visita al Castello Scaligero di Malcesine.

L’esperienza si è conclusa, il quarto giorno, con un tempo di condivisione e la Messa. I partecipanti, nel corso di entrambi i momenti, hanno espresso la loro gratitudine per i giorni trascorsi insieme, per le testimonianze ricevute e per aver riscoperto l’importanza di fermarsi per apprezzare ciò che si ha, riscoprendo ancora una volta come la stessa vita non possa che essere riconosciuta come un dono.

Il campo vocazionale è stato un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza, un’esperienza che continua ad accompagnare i giovani nella scoperta della loro vocazione alla vita e della presenza di Cristo.

 

Giulia Alfiero
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

La parola del lungo giorno di Tor Vergata – ma, più in generale, dell’intera esperienza del Giubileo dei Giovani – è ‘scelta‘.

Perché, come descritto magnificamente da Papa Leone XIV nella prima parte della veglia di preghiera di sabato 2 agosto, “La scelta è un atto umano fondamentale. Osservandolo con attenzione, capiamo che non si tratta solo di scegliere qualcosa, ma di scegliere qualcuno. Quando scegliamo, in senso forte, decidiamo chi vogliamo diventare. La scelta per eccellenza, infatti, è la decisione per la nostra vita: quale uomo vuoi essere? Quale donna vuoi essere?“.

La scelta di un percorso di studi, la scelta di impegnarsi in una relazione, la scelta di un lavoro. Ma anche la scelta di prendersi un tempo per sé, un tempo in qualche modo diverso, come il tempo trascorso durante l’esperienza del Giubileo. Un tempo, cioè, che possa aiutare, con speranza, a mettere a tema la propria vita, a fermarsi ma per ripartire con maggiore consapevolezza, a ritrovare un senso che spesso, nella quotidianità, sembra essere offuscato o addirittura svanire.

Dopotutto, “scegliere significa anche rinunciare ad altro, e questo a volte ci blocca“.  E allora “Per essere liberi” – ha proseguito Papa Leone – “occorre partire dal fondamento stabile, dalla roccia che sostiene i nostri passi. Questa roccia è un amore che ci precede, ci sorprende e ci supera infinitamente: è l’amore di Dio. Perciò davanti a Lui la scelta diventa un giudizio che non toglie alcun bene, ma porta sempre al meglio.
Ogni scelta, infatti, grande o piccola che sia, è un passo, un movimento nella propria vita. Scegliere è imboccare una direzione, è (anche) sbagliare, è ricordare. Scegliere è il coraggio di lasciarsi alle spalle qualcosa, non fingendo che non sia mai esistito, che non sia mai stato. Ma, al contrario, onorandone la memoria, educandosi a rielaborare, a rivivere, a ripensare, riconoscendo come le esperienze vissute, le scelte (e, di conseguenza, le rinunce) compiute corrispondano alla strada percorsa, senza la quale non potremmo trovarci alla tappa del cammino della vita di quel dono straordinario e misterioso che si chiama presente.

E allora non possono che risuonare, fortissime, alcune delle parole dell’omelia di Papa Leone alla S. Messa vissuta nella mattinata di domenica 3 agosto, il grande momento conclusivo dell’esperienza: “Noi pure, cari amici, siamo fatti così: siamo fatti per questo. Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere. Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnerla con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell’incontro con Dio. Ci troveremo di fronte a Lui, che ci aspetta, anzi che bussa gentilmente al vetro della nostra anima (cfr Ap 3,20). Ed è bello, anche a vent’anni, spalancargli il cuore, permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito.“.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Collage Articolo 'Aspirate a cose grandi...'

L’esperienza del Giubileo dei Giovani è stata una settimana ricca. Ricca di parole, di meraviglia, di fede, di vita. E ogni giorno ha donato l’opportunità di compiere una tappa del cammino, lasciando che una parola in particolare si aprisse come un seme pronto a far nascere una nuova vita.

La parola del primo giorno, lunedì 28 luglio, il giorno della partenza per Roma, è stata ‘scoperta‘.
La scoperta di una lunga strada da percorrere, di un luogo da abitare, di un’avventura da iniziare. Ma, molto di più, la scoperta degli sguardi e delle voci dei compagni di viaggio. Di chi avrebbe condiviso lo stesso cammino…
Una scoperta, però, richiede attenzione, disponibilità ad ascoltare, a osservare. Richiede la capacità di mettersi in discussione, di non bastarsi. E, allo stesso tempo, la capacità di riconoscere come dentro ciascuno di noi si nasconda un sogno straordinario, che, primo fra tutti, conosce Chi quella vita l’ha desiderata.
Quale granello Dio avrà piantato nel mio cuore alla fine di questa settimana?‘. Una domanda, questa, che è nata nel primo vero momento condiviso da parte del gruppo: la Messa di avvio dell’esperienza, celebrata presso la Comunità Missionaria di Villaregia di Roma.
Si era compiuto un primo passo. Ora non restava altro che continuare a camminare…

La parola del secondo giorno, dedicato all’attraversamento della Porta Santa della Basilica di San Pietro e alla S. Messa di benvenuto da parte della Chiesa di Roma, è stata ‘grandezza‘.
La grandezza di Roma, “una città da contemplare” e dalle proporzioni molto diverse da quelle a cui noi – pellegrini di Chioggia – siamo abituati. La grandezza di un abbraccio, proprio quello della meravigliosa Basilica di San Pietro, che da secoli è simbolo di una Chiesa dalle braccia protese verso chi, pellegrino, si mette in cammino. Ed è soprattutto la grandezza del perdono di Dio. Un perdono che in nessun modo deve essere meritato, un perdono che scalda, che avvolge, che si spalanca per essere donato.
La grandezza di un tempo per te e per Dio. Per noi e Dio. Un tempo di speranza: “La fede è un incontro. La fede è una scelta di libertà“.

Ancora, la parola del terzo giorno, con la partecipazione a due dei momenti della proposta “12 Parole per dire Speranza”, è stata ‘condivisione‘.
Perché la condivisione crea una connessione, costruisce una relazione. E, prima ancora, ogni condivisione parte dalla presa di coscienza che, oltre all’io, oltre alle proprie esigenze, oltre a quelle che vengono percepite come piccole o grandi necessità, si venga chiamati alla scoperta autentica di sé stessi ma anche di un altro (o, ancor di più, dell’Altro).
La condivisione, in fin dei conti, è una breccia che si apre alla fiducia, alla fede, e alla consapevolezza delle proprie fragilità. Ed è proprio lì, in quella “riva”, che Gesù aspetta, pronto a metterci alla prova, pronto a moltiplicare – “se siamo disposti a mettere i piedi fuori dalla barca” – la nostra piccolezza in uno splendido miracolo.

La parola del quarto giorno, con la straordinaria proposta di confessio fidei “Tu sei Pietro” rivolta ai giovani italiani, è stata ‘Chiesa’.
Una Chiesa semplice, imperfetta, profondamente umana. Ma una Chiesa che è amata. Di un amore donato che vince tutto, anche le guerre più atroci e le ingiustizie più amare. Perché Chiesa è essere in comunione, è essere comunità. Una comunità che, grande o piccola che sia, può essere sé stessa solamente quando pensa per l’altra nell’Altro.
Ognuno di noi, infatti, proprio come l’apostolo Pietro, è una pietra, una pietra che è viva. E, come ogni pietra, non possiamo arrenderci all’idea di rimanere soli… Solamente una accanto all’altra, una unita all’altra, è possibile costruire qualcosa di grande, che può vincere tutto, anche la morte.

Infine, un’ultima parola prima dei momenti conclusivi di Tor Vergata. La parola del quinto giorno: ‘servizio‘.
Perché “siamo [veramente] noi stessi quando ci pensiamo per gli altri“. Un servizio come quello offerto dai tantissimi volontari e operatori per il Giubileo, anche nella lunga giornata penitenziale presso il Circo Massimo.
Come può andare qui se non meravigliosamente bene quando un fiume del giovane popolo di Dio decide di vivere la confessione?
Queste le parole di una di loro, lì per indirizzare, supportare e consigliare i giovani pellegrini arrivati a Roma. E come non essere d’accordo con lei? Come non meravigliarsi di fronte a una scelta, più o meno accompagnata e sostenuta, di chiedere perdono, di riconoscere le proprie mancanze, le proprie fragilità, ciò che più stride dentro di sé nella quotidianità?
Un fiume calmo, eppure fremente. La pace che solo la certezza di essere amati, nonostante tutto, per chi si è veramente, per tutto ciò che fa parte di sé, può regalare…
Un cammino di servizio che è stato anche quello di Agnese Sassetto, giovane dell’Oratorio Salesiano di Chioggia. Un’esperienza, la sua, iniziata con discrezione e che l’ha chiamata – unica italiana in un gruppo di dieci giovani che condividono l’alloggio – a dedicarsi completamente a chi diventava improvvisamente prossimo per lei. Prima con la consegna dei pasti e dell’acqua, poi nell’aiutare e indirizzare i pellegrini che attendevano di poter attraversare la Porta Santa della Basilica di San Paolo Fuori le Mura.
In “un mondo” – riprendendo ancora una volta le parole del Cardinale Matteo Zuppi ai giovani in Piazza San Pietro – “che accetta di nuovo come normale pensarsi l’uno contro l’altro o l’uno senza l’altro“, mettersi a servizio dell’altro, riconoscendo in lei o in lui il volto di Dio, diventa quindi un gesto del tutto rivoluzionario.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Collage Diario di Bordo per Pellegrini di Speranza

Sabato 28 giugno 2025, i Gruppi Vocazionali “Il Mandorlo” e “Il Sicomoro” hanno vissuto una giornata intensa e piena di significato, insieme ai loro genitori, nella città di Modena. Un’uscita che si è rivelata molto più di una semplice gita: è stata un’esperienza di compagnia vera, un segno concreto di come la fede possa diventare forma della vita.

L’incontro tra ragazzi, genitori e accompagnatori ha creato una familiarità sorprendente: in un clima di semplicità e gioia, si è respirato il gusto dello stare insieme, il desiderio di condividere il cammino e la domanda profonda che ciascuno porta nel cuore. Attraverso le bellezze del centro storico di Modena, la visita al Duomo e i momenti di sosta, si è fatta strada in noi una percezione più chiara: la fede non è un discorso da capire, ma un avvenimento da riconoscere nella realtà.

Ciò che abbiamo vissuto è stato un’occasione per educare lo sguardo: guardare tutto – la città, la storia, gli incontri, persino il pranzo condiviso – come segno, come richiamo alla presenza del Mistero che si fa compagno nel cammino. In questo senso, la giornata è stata un’esperienza di memoria: memoria di ciò che ci ha presi, che ci ha messi insieme, e che rende ogni istante un’opportunità per crescere nella nostra vocazione.
I momenti di dialogo con i genitori e i ragazzi, la bellezza delle relazioni, nate o approfondite, e la possibilità di raccontarsi liberamente, hanno fatto emergere il bisogno comune di una compagnia stabile, che sostenga il cammino di ognuno nella scoperta del disegno di Dio sulla propria vita.

Abbiamo toccato con mano che seguire Cristo, oggi, significa appartenere a una compagnia umana in cui la fede diventa esperienza. E, tornando a casa, ci siamo portati via una certezza semplice ma fondamentale: ciò che ci è accaduto non è solo passato ma si fa sempre nuovo e inizia adesso.

Irene Veronese
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'Uniti nella Fede'

È stata un’occasione per vivere la fede tramite un cammino, con lo stile semplice e concreto che ci appartiene. Il tema “Pellegrini di Speranza” ci ha spinto a guardare avanti con fiducia, anche nelle difficoltà. Partecipare al Giubileo vuol dire anche servire, accogliere, condividere e insieme ad altri giovani, è stato un tempo per crescere, riflettere e sentirci parte di una chiesa viva.
Marco, Francesco P. e Leonardo (Scout Chioggia 2)

 

Come scout, quello che ho vissuto in quei giorni è stato qualcosa di unico e toccante, data la fede condivisa di molti ragazzi riuniti nello stesso pellegrinaggio. L’energia di migliaia di ragazzi uniti dalla stessa fede, i sorrisi sinceri, e soprattutto la presenza viva di Dio in mezzo a noi mi hanno profondamente toccata. Ho percepito una pace nel cuore che mi ha fatto capire quanto sia bello affidarsi a Dio, anche nella confusione tipica della nostra età.
Dopo questo Giubileo, sento che la mia fede è cresciuta: non è solo una cosa che “devo fare”, ma una scelta che nasce dal cuore. Questo Giubileo mi ha regalato più fiducia, più speranza, e una relazione più profonda con Dio…
Sofia (Scout Chioggia 2)

 

Ho ripensato al nostro breve ma intenso viaggio che ho vissuto come un viaggio in famiglia. Non solo perché eravamo insieme, ma perché ci siamo sentiti davvero legati, uniti da qualcosa di più grande. Non era solo il luogo, ma le persone, le emozioni, i piccoli gesti. Ogni sguardo, ogni risata, ogni abbraccio sincero ha costruito qualcosa che non si dimentica…
Quelle che all’inizio potevano sembrare disavventure si sono rivelate occasioni per stringerci ancora di più, per aiutarci a vicenda e per scoprire la forza nella nostra unione.
Voglio ringraziare con il cuore gli animatori, Sara, Silvia e Lorenzo. Non sono stati semplici accompagnatori, ma guide, compagni di viaggio, esempi…
Mi porto a casa tanto: i volti, le parole, i silenzi e i momenti di preghiera pieni di senso, le notti passate insieme, le camminate, tutte le risate. Tornare a casa cambiati, un po’ più veri, un po’ più ricchi, un po’ più vivi è il senso più bello di ogni viaggio. Grazie.
Giulia (Parrocchia Buon Pastore)

 

Un’esperienza che aiuta a ritrovare sé stessi. Durante gli incontri di preparazione al Giubileo, ho conosciuto altri e, grazie a questi amici, sono riuscita a stare così distante da casa nonostante fosse la mia prima volta.
Questa esperienza mi ha portata ad avere più fiducia in me stessa e ad affrontare situazioni di difficoltà, distanti dalla propria comodità, ma nelle quali si sono creati rapporti, quasi più sani e veri, di quelli abituali. Un’esperienza che mi porterò sempre nel cuore.
Asia (Parrocchia Navicella)

 

Le cose che mi hanno colpito e fatto riflettere: la prima è stata la Via Lucis, soprattutto perché era stata ambientata ai giorni nostri e con parole attuali, che, almeno per me, mi hanno invogliato ad ascoltarla ancora di più; la seconda è stata la Porta Santa, attraversarla per me è stato un motivo per capire ancora di più quello per cui ho voluto andare al Giubileo; l’ultima ma non per importanza, è stata la Messa in Piazza San Pietro: quello che mi ha colpito maggiormente è stato vedere la quantità di adolescenti e giovani che c’erano, non avrei mai pensato che ci sono ancora così tante persone che seguono la fede cristiana, cosa che secondo me non è scontata.
La parola speranza è quella che mi è stata impressa di più perché, per me, speranza vuol dire fiducia, cosa che devo ancora “scoprire/dare”. Inoltre, mi ha colpito molto la frase che don Giovanni ha detto durante la Messa del sabato mattina: “Il Risorto ci fa scomodare”, perché mi fatto capire cosa sono stata disposta a fare per approfondire ancora di più la mia fede.
Giorgia (Parrocchia Navicella)

 

Mi ha colpito la presenza di tanti giovani perché spesso si sente parlare di ragazzi smarriti. È bello vedere tante persone della mia età con una visione profonda della vita nella fede e che creano rapporti veri e non virtuali. Ho visto la forza e la speranza nel costruire un mondo migliore, un mondo di pace, giovani più positivi e felici che mi hanno fatto cambiare punti di vista verso gli altri, guardando il mondo con più semplicità e con meno pregiudizi.
La parola che più mi ha colpito è stata “passaggio”, perché abbiamo attraversato la Porta Santa ma soprattutto perché mi ha fatto riflettere su quante porte (occasioni) abbiamo nella vita. Quando mi si è aperta la “porta” per venire al Giubileo non ci ho pensato un secondo perché sapevo che sarebbe stata un’occasione indimenticabile.
Sofia (Gruppi Vocazionali)

 

Mi ha emozionato tanto andare a San Paolo Fuori le Mura, così grande e bella, assieme a migliaia di miei coetanei con la stessa fede in Gesù. Ho capito che, se lo seguiamo così in tanti, possiamo rendere il mondo più bello e giusto.
Francesca (Salesiani Chioggia)

 

Essendo stati davvero tanti ragazzi, ho avuto difficoltà a focalizzarmi sull’importanza dei momenti cruciali, in più la stanchezza fisica ha influito; nonostante ciò, porto a casa dei pensieri su cui vorrei lavorare per poter vivere la fede cristiana al meglio, come il voler capire quali sono le porte che portano a Cristo Risorto e quali no.
Elena (Gruppi Vocazionali)

 

Appena siamo entrati attraverso la Porta Santa, ho sentito un senso di pace e la prima cosa che mi è venuta in mente di fare è stata dire una preghiera per tutte le persone in difficoltà: di salute, ma anche per altri motivi. Mi sarebbe piaciuto molto vedere affacciarsi dal balcone di piazza S. Pietro Papa Francesco, che penso sarebbe stato contento di vedere tutti noi ragazzi riuniti insieme. Ma sento comunque di aver avuto la sua benedizione vedendo passare la papamobile con la sua bara dietro.
Margherita (Salesiani Chioggia)

 

Un insieme di giovani, ognuno con storia, cultura, nazionalità differenti, con in comune il sentimento della speranza riposta nel cristianesimo, con il desiderio di cercare Dio e la pace di cui oggi più che mai abbiamo bisogno. Questa esperienza ci ha lasciato un segno indelebile perché, vedendo tutti questi giovani pellegrini, abbiamo arricchito il nostro animo di fede e misericordia.
Giacomo e Letizia P. (Scout Chioggia 2)

L’infinita misericordia di Dio: è Cristo che apre il suo cuore e dona tutto il suo amore“, con queste parole il Vescovo Giampaolo ci ha preparati a varcare la Porta Santa. Il Vescovo, infatti, ha voluto essere presente all’evento, condividendo l’esperienza e partecipando attivamente fin dai tre incontri di preparazione proposti dalla Pastorale Giovanile.
Toccare quella porta e attraversarla è come passare attraverso il cuore di Gesù: la sua infinita misericordia“, ci ha annunciato il Vescovo, e così ci ha chiesto di tenere il cuore aperto e sempre disponibile alla sua chiamata all’amore.

Sperare contro ogni speranza“. Lo scriveva san Paolo nella Lettera ai Romani 4, 18; sembrava conoscere già la cultura attuale in cui veniva proposto il Giubileo degli Adolescenti.
Ha sorpreso la folla di ragazzi che hanno aderito, più di novemila solo dal Triveneto. È stato un segno palpitante per le nostre Chiese del Nord-Est: giovani entusiasti e desiderosi di essere protagonisti della loro fede in Gesù.
Nel suo complesso, l’evento è stato un momento di grande speranza, intessuto di amicizia, bellezza, fatica, gioia, in un clima di consapevolezza del dono di una comunità credente che abbraccia il mondo. È stato un cammino interiore, scandito da tappe che ci hanno coinvolto prima e durante il Giubileo, e che continueranno a interpellarci nel prossimo futuro, come per l’appuntamento programmato per venerdì 23 maggio. Un percorso segnato da momenti che hanno aperto il cuore alla fede, orientato il desiderio di un’amicizia più grande, alimentato la comunione tra i giovanissimi della Diocesi.

I ragazzi hanno partecipato, al venerdì, alla preghiera della Via Lucis; al sabato, hanno vissuto il passaggio della Porta Santa di San Paolo Fuori le Mura; la domenica, la Messa in Piazza San Pietro.
Un’avventura che ha visto adolescenti e giovani educatori farsi compagni di viaggio, pellegrini di speranza. Ci è mancata la presenza di Papa Francesco e la canonizzazione del Beato Carlo Acutis, in riferimento alla quale il Vescovo aveva donato un libro ai partecipanti per approfondirne la figura.
Ci rimane, tuttavia, il dono di amicizie nate e consolidate, di una fatica condivisa, di una comunità più grande: quella di una Chiesa fatta di ragazzi che ha riempito Piazza San Pietro e Via della Conciliazione ben oltre le aspettative! Ora spetta a noi continuare a lavorare perché la speranza continui ad ardere nei nostri cuori, come Papa Francesco ci ha indicato.

 

Don Giovanni Vianello
Delegato diocesano per la Pastorale Giovanile e Vocazionale

Immagine Articolo 'Ardono di speranza i nostri cuori'

Nei giorni scorsi, durante il Giubileo degli Adolescenti, ho avuto modo di riflettere sulla grande grazia che Dio mi ha fatto donandomi la gioia di ricevere il Ministero del Lettorato in un anno così speciale come questo, in occasione dell’ormai prossima Veglia Diocesana di Preghiera per tutte le Vocazioni. Proprio a Roma, infatti, centinaia di migliaia di adolescenti hanno potuto attraversare la Porta Santa per toccare con mano la Misericordia di Dio, attorno alla quale ruotano tutte le Scritture. E non solo: in questo 2025, il Vescovo Giampaolo ci chiede di lavorare tutti assieme per costruire, nella nostra Diocesi, le Comunità Cristiane Sinodali mettendo al centro proprio la Parola.

Due coincidenze? Non credo… Credo, piuttosto, che il Signore ci stia interpellando, anche per vie diverse, a ricentrarci proprio su quella che è una delle colonne portanti della nostra fede: appunto, la «Roccia della Parola».

Ricevere il Lettorato in questo 2025, assume per me un valore ancora più grande: anche se si tratta di un ministero minore, infatti, sento forte la chiamata di Cristo a incarnare nella mia vita la sua Parola, seppur con i miei limiti e le mie fragilità. Ma d’altra parte, come scriveva San Paolo, noi abbiamo “un tesoro racchiuso in vasi di creta, una straordinaria potenza che non viene da noi, ma appartiene a Dio” (2Cor 4,7). Allora, anche se riconosco il mio essere “creta”, anche se so di essere fragile, sono comunque certo che la straordinaria potenza del tesoro che è la Parola di Dio colmerà i miei limiti e mi permetterà di conformarmi sempre più a essa, così da portarla agli altri nella mia vita e, a Dio piacendo, nel ministero sacerdotale.

 

Daniele Mozzato
Seminarista

Immagine Articolo Daniele Mozzato (Lettorato)

La Speranza è… Meraviglia. Semplicità. Margine di miglioramento. Dono che Dio che ci fa e che ricerchiamo continuamente. Luce. La Speranza è strana. È Futuro. Un cammino. Percorso. Costante. Voglia di vivere. Felicità. Importanza. Fonte di vita. Visione del mondo. Curiosità. Libertà di pensiero. Credere con tutto sé stesso una cosa precisa. Aspettare. Credere. Avere qualcosa a cui affidarsi.
Ma Speranza sono anche le persone intorno a te. Fiducia nella possibilità di un mondo migliore. Viaggio da affrontare. Vivere con passione e amore…

Una sola parola: Speranza. Eppure tante risposte diverse da parte dei giovani (o giovanissimi) partecipanti che hanno vissuto l’esperienza del Giubileo degli Adolescenti. Un piccolo gioco – quello proposto durante il viaggio verso Roma – che ha dato l’opportunità di tracciare una linea, un punto di partenza, dei propri pensieri, del proprio cuore. Un piccolo grande termine di paragone rispetto alla strada che si è compiuta durante il pellegrinaggio, in questo caso non tanto in termini fisici, spaziali, misurabili, ma in riferimento al percorso della propria vita, alla propria sfaccettata umanità.

E allora è affascinante, ora, guardarsi indietro, se pur nel tempo di pochi giorni, di un’esperienza tanto breve quanto intensa. Darsi, cioè, l’opportunità di accorgersi del distacco, del grado di separazione, rispetto a quel punto iniziale. Magari accompagnati da alcune delle parole che hanno guidato l’ultima tappa del cammino, quelle del Cardinale Pietro Parolin durante l’omelia della celebrazione presieduta in Piazza San Pietro la mattinata di domenica 27 aprile. Riconoscendosi ancor di più, ora che siamo tornati, pellegrini di speranza.

[Cari giovani e adolescenti che siete venuti da tutto il mondo a celebrare il Giubileo], Di fronte alle tante sfide che siete chiamati ad affrontare […] non dimenticate mai di alimentare la vostra vita con la vera speranza che ha il volto di Gesù Cristo. Nulla sarà troppo grande o troppo impegnativo con Lui! Con Lui non sarete mai soli né abbandonati a voi stessi, nemmeno nei momenti più brutti! Egli viene ad incontrarvi là dove siete, per darvi il coraggio di vivere, di condividere le vostre esperienze, i vostri pensieri, i vostri doni, i vostri sogni, di vedere nel volto di chi è vicino o lontano un fratello e una sorella da amare, ai quali avete tanto da dare e tanto da ricevere, per aiutarvi ad essere generosi, fedeli e responsabili nella vita che vi attende, per farvi comprendere ciò che più vale nella vita: l’amore che tutto comprende e tutto spera (cfr. 1Cor 13,7)”.

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'La Speranza è...'

C’è per te un messaggio, un tema oppure una situazione che ti ha particolarmente toccato in questi giorni?

Una domanda in apparenza semplice, spontanea. Ma che nasconde una piccola insidia, soprattutto quando l’esperienza che si è vissuta sta per concludersi, portando con sé un bagaglio significativo di emozioni, di fatiche, di pensieri che ormai corrono velocemente verso casa.
È il rischio di cui spesso parla il Vescovo Giampaolo rivolgendosi ai giovani, un messaggio che non è mancato anche lungo la strada del ritorno dal Giubileo degli Adolescenti, vissuto a Roma lo scorso fine settimana: “Non è la quantità delle esperienze affrontate a fare la differenza, a cambiare la vita, ma la capacità di rielaborare, di far sì che ciò che si è vissuto non si limiti alla dimensione del passatempo e affondi le proprie radici in profondità, pizzicando le corde più sensibili della propria esistenza“.

Significativa, allora, è la risposta di Lorenzo P., di sedici anni, che è stato colpito dal fatto di poter “cogliere gli imprevisti come opportunità“.
[Fin da prima della partenza per il Giubileo], ci sono stati diversi “imprevisti” – tra tutti, la morte del Papa – che hanno portato a stravolgere completamente il programma, ma ci sono stati anche tanti altri piccoli imprevisti, come il campo mobile che ci ha ospitato a Roma, il freddo durante la notte, i “letti”… Non lo avrei mai immaginato per la mia vita, però, dai, sono riuscito a prenderla con filosofia“.
Una risposta che, proprio come la domanda, nasconde una sfumatura più profonda. Perché ciò che ha spinto a prendere parte a questa avventura non è confortevole, agiato, “comodo”. “Il Risorto ci scomoda, ci scomoda sempre“, come ha sottolineato con forza don Giovanni durante l’omelia della S. Messa celebrata in suffragio di Papa Francesco, nel giorno dei funerali. Una scomodità che, spesso, disarma, che mette alla prova, ma che permette alla propria vita di aprirsi a una prospettiva più grande, più autentica, più vera.

E ancora Giulia D., di quindici anni, scrive: “La cosa che mi ha colpita di più durante il Giubileo è stato il fatto di aver avuto la possibilità di ottenere un perdono più “speciale” rispetto a quello che, [nell’ordinario], si riceve con il sacramento della confessione. Passare attraverso la Porta Santa è stato molto emozionante, ho avuto l’occasione di consolidare di più la mia fede e credo sia una cosa che mi ricorderò per tutta la vita“.
Una risposta che non può non aprire il cuore, che meraviglia. E che ci conferma ancora una volta come l’orizzonte del futuro sia più limpido di quanto generalmente viene raccontato. La straordinaria capacità delle persone, soprattutto dei più giovani, di spiazzarci, di cogliere il bello dove altri trovano solamente un ostacolo, di sorprenderci quando ne viene data loro l’opportunità.
L’orizzonte di una speranza che non delude, mai.

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Immagine Articolo 'Il Risorto ci scomoda'